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Ragazzi, salute mentale in crisi.

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IL TEMA

Il punto annuale sul benessere psichico degli italiani nel convegno dell’Ufficio Cei per la Pastorale della salute con psichiatri e studiosi Cresce l’allarme per patologie che insidiano le nuove generazioni

di PINO CIOCIOLA

Il futuro non sembra di grande compagnia. Anzi, mostra piazze quasi solo virtuali e solitudini reali, condite da una discreta tristezza e qualche senso di vuoto. Mentre il presente neppure mostra un barlume d’inversione di rotta e tendenze. Non c’è insomma da stare granché allegri, specie pensando ai più giovani, ma tocca muoversi, com’è stato spiegato a “Le grandi solitudini. La Chiesa italiana e la salute mentale”, settima edizione del convegno promosso dall’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Cei, in collaborazione con l’Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici e l’associazione “In punta di piedi”, con una ventina di relatori.

Pandemia della solitudine.

Diversi elementi «ci fanno dire che oggi viviamo una “pandemia della solitudine”, e si direbbe che il contesto sociale occidentale attuale non aiuta la relazione», dice in un videosaluto inviato al convegno monsignor Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei. Ma «l’incontro, la relazione, può nascere solo quando riconosco l’altro, anche nelle sue fragilità, anche quando è vulnerato, ha subito qualche ferita, lo riconosco come persona, come un “tu” che possiede quell’originario valore per sé stesso. E mi prendo cura di lui».

Ritiro sociale. Punto, già sconsolante, di partenza, socialmente parlando: «Una percentuale di ragazzi tra l’11 e il 27% soffre di sentimenti di tristezza e vuoto, quando diventano consapevoli della scarsa quantità e qualità delle proprie relazioni sociali», percentuale che «sale al 40% se si considera l’età adulta», spiega Stefano Vicari, docente di Neuropsichiatria infantile alla Cattolica di Roma e responsabile dell’Unità operativa complessa Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza all’Ospedale Bambino Gesù. Occhio poi al cosiddetto “ritiro sociale” (sottrarsi alle opportunità d’interazione con i coetanei), visto che si stimano in questa condizione «120mila ragazzi ».

Vita da smartphone . Ancora Vicari: «Il 78,3% di bambini fra 11 e 13 anni utilizza internet tutti i giorni, soprattutto attraverso lo smartphone ». A proposito, «i bambini tra sei e dieci anni che utilizzano lo smartphone tutti i giorni sono passati dal 18,4% del 2018/19 al 30,2% del 2020/2021», cioè dopo la pandemia. Risultato? «Facile e veloce soddisfazione dei bisogni virtuali», «controllo sugli altri, sulle proprie emozioni e i propri comportamenti», «eccitazione da immagini, suoni e video durante la navigazione». Naturalmente con la “sindrome da disconnessione” scattano «ansia, tristezza e rabbia», annota Vicari. Così – conclude – «la dipendenza da strumenti elettronici è la piaga di questi anni». Con relativa e annessa solitudine.

Condizione patologica. Tanto più che c’è una bella differenza fra stare soli, restarci o finirci: «Se usiamo l’espressione “stare da soli” – annota l’Ufficio Cei per la Pastorale della salute, diretto da don Massimo Angelelli – possiamo pensare a un’opportunità per generare nuove energie, progetti, sviluppi. Se passiamo a “restare da soli” tratteggiamo uno scenario velato di tristezza, con la sensazione che si sia perduto qualcuno di prezioso. Ma quando nel nostro linguaggio entra la parola “solitudine” disegniamo un quadro malinconico che confina con – o addirittura entra in – una condizione patologica».

Dunque, «nato per la relazione, l’essere umano, si trova non poche volte in condizione di solitudine, al punto che la letteratura a più riprese lo descrive come un essere “solo” dalla nascita alla fine».

I “divorzi grigi”. Prendiamo la coppia che scoppia, altro giro di potenziali (e purtroppo non solo) solitudini. Un campanello ormai più che d’allarme sono i “ grey divorces” (divorzi grigi), i divorzi che avvengono oltre i cinquant’anni. E sono le donne – sottolinea Cinzia Niolu, medico, psicoterapeuta, psichiatra, dirigente della Uoc di Psichiatria della Fondazione Policlinico Tor Vergata – ad avere «una maggiore difficoltà a riprendersi emotivamente e psicologicamente».

Disabilità. Ancora, pensando alla solitudine delle famiglie con figli disabili, «nell’ultimo decennio il numero delle consulenze neuropsichiatriche al Dipartimento emergenza e accettazione del Bambino Gesù è aumentato undici volte», fa sapere Paolo Alfieri, dottore in Neuroscienze dello Sviluppo, Uoc di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambino Gesù di Roma. Intanto, nel mondo «più di un adolescente su sette tra 10 e 19 anni convive con un disturbo mentale diagnosticato» e «il suicidio è la seconda causa di morte tra 15 e 19 anni in Europa». Testimonianza della mamma di una ragazza disabile in cura al Bambino Gesù: « Invitare un familiare in casa a pranzo o per un semplice incontro è impensabile. Ancor più quando tutti si riuniscono», come a Natale o per un compleanno, che «per noi rimane un’utopia».

Operatori sanitari. La rassegna è lunga. La solitudine degli operatori sanitari, quando si manifesta, può essere «necessaria, voluta, patologica », spiega Alessandra Laudato, psichiatra, dirigente medico Asl Napoli 3 Sud: nel primo caso, perché «ci si ritrova soli col malato e protesi con lui verso un percorso di guarigione », quella voluta perché «spesso ci si organizza per categorie distinte e quasi contrapposte ». La peggiore è quella patologica, perché «aumentano gli obblighi lavorativi, ma diminuiscono le strutture e il personale» e perché «l’eccessiva burocrazia rallenta la pratica quotidiana sottraendo energie ed entusiasmo al ben operare». Così, ad esempio, magari subentrano «la sensazione di fallimento e la perdita dell’autostima», sentendosi «inariditi e demotivati».

Pericolo letale. Attenzione, infine: la solitudine patologica può arrivare fino a uccidere. «Numerose ricerche dimostrano che solitudine e isolamento innescano numerosi problemi al confine corpo-mente – aggiunge Laudato –, insonnia, alterazioni immunitarie, patologie cardiache, alimentari, algiche e ovviamente ansia, depressione, dipendenze da alcol e sostanze». Morale? «Alcuni esperti stimano che il rischio di morte prematura possa aumentare del 30%».

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Corso di pastorale di Vita nascente e medicina perinatale

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Obiettivo del corso è formare operatori della Pastorale della vita nascente e offrire una pronta risposta alla mamma e al papà che si trovano di fronte ad una patologia prenatale: “Come posso ora aiutare il mio bambino?”.

Scarica il volantino con il programma e le modalità di iscrizione al Corso
Scheda di iscrizione

 


Don Alberto Frigerio nuovo Assistente spirituale

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Il Consiglio Permanente della CEI, nella sessione primaverile del 2023, ha provveduto alla nomina di Assistente spirituale nazionale della Consociazione Nazionale dei gruppi di donatori di sangue FRATRES delle Misericordie d’Italia di Don Alberto FRIGERIO (Milano).

Don Frigerio è sacerdote della Diocesi di Milano. Professore incaricato di Etica della vita presso l’ISSR di Milano e docente di Religione presso il Centro di Formazione Professionale In-Presa di Carate Brianza. Laureato in Medicina e Chirurgia, ha conseguito un Master in Integrative Neuroscience presso l’University of Edinburgh, Scozia. Ha conseguito la Licenza e il Dottorato in Sacra Teologia al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, Roma e Washington.


Incontro nazionale dei Direttori diocesani della pastorale della salute

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L’Incontro, che si terrà presso il Centro di spiritualità “Il Carmelo” di Ciampino (RM), è rivolto ai Direttori e Vicedirettori degli uffici diocesani di pastorale della salute e non è prevista delega.

La partecipazione è gratuita, sono a carico del partecipante le sole spese di viaggio.
Per motivi organizzativi è necessario effettuare l’iscrizione quanto prima cliccando sul link: https://iniziative.chiesacattolica.it/IscrizioneDirettoriCiampino

Per informazioni potete contattare la Segreteria organizzativa dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute: 06.66.398.477 oppure salute@chiesacattolica.it

Programma


«Quante fragilità, c’è bisogno di tutti»

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di FRANCESCO OGNIBENE

Gira e rigira, sempre a lui torniamo: il Samaritano, con la sua lezione sulla “cura” umana ancora in grado di cambiare la storia. Un tema particolarmente caro a don Massimo Angelelli, appena confermato alla guida per altri cinque anni dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della Salute. Con lui riflettiamo di cura (e molto altro) alla vigilia della 31esima Giornata mondiale del malato, sabato 11.

Che passo ci propone il Papa con la Giornata edizione 2023?

Nel suo messaggio ha scelto come titolo «”Abbi cura di lui”. La compassione come esercizio sinodale di guarigione», chiaramente un rinvio al passo del Vangelo di Luca del Buon Samaritano nel quale, dopo essersi fermato ad ascoltare e curare la vittima dell’agguato, si è fatto carico anche di accompagnarlo in una locanda perché fosse curato. E il titolo è la raccomandazione che fa all’albergatore. È un invito esplicito a tutta la comunità umana, credenti e non, a compiere gli stessi gesti del Samaritano, cioè prendersi cura delle persone vulnerabili ovunque si trovino. Francesco tocca molti punti, come il ruolo delle strutture sanitarie che sono chiamate a garantire «l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute».

Si conclude il trentennale della Giornata: cosa ci ha insegnato questo appuntamento?

Per il nostro Ufficio alla programmazione ordinaria si sono aggiunti 17 programmi sperimentali, tutto realizzato ai bordi dell’esperienza della pandemia, nel suo tratto finale. Quello che era un appuntamento tradizionale dedicato ai malati ora è diventato un evento per tutta la comunità umana e cristiana. La pandemia ci ha insegnato che il tema della salute, prima pensato come dimensione individuale, ha invece una valenza sociale e comunitaria. Abbiamo imparato che la salute è un bene di tutti e va difesa e curata insieme, come una responsabilità collettiva.

Il Papa rilancia l’obiettivo della “comunità sanante”, che si fa carico dei malati. Come ci si arriva?

Dal Vangelo traiamo la richiesta esplicita di Gesù di diventare una comunità sanante e curante, cioè che si fa carico degli altri. Non è una dimensione aggiuntiva, da inserire nel nostro vissuto di fede, ma costitutiva, il recupero della richiesta iniziale di Gesù di farsi suoi imitatori. E cosa ha fatto Gesù? Ha annunciato il vangelo e si è preso cura di malati e sofferenti. Questo nostro atteggiamento nasce anche da quello stesso comandamento dell’amore che troviamo nel Vangelo di Giovanni (15, 17), che è anche uno dei due comandamenti fondamentali che ci ha lasciato (Mt 22, 37-40). Se non facciamo questo manchiamo del 50 per cento il nostro vissuto come cristiani.

Stanno emergendo tante “fragilità” che non sempre prendono la forma di “malattie”, ma la nostra società sembra averne paura finendo per “scartarle”. Come si affrontano?

Credo vadano rimessi in discussione i modelli che ci siamo dati. La nostra società ha creato modelli di vita praticamente irrealizzabili: tutti sani, ricchi, felici. Lo conferma il fatto che la maggior parte di chi vive una condizione agiata è sempre più insoddisfatto, così va in cerca di nuove sfide. In questo contrasto manca la presa di coscienza della nostra base antropologica, che è costitutivamente fragile. Continuiamo a presentare modelli sempre vincenti quando la nostra esperienza di vita ci dice che certe fragilità appartengono alla dimensione naturale delle persone. Se noi non li acquisiamo come dato antropologico continueremo a pensare che tutti quelli che non corrispondono al modello debbano essere scartati, perché difettosi, mancanti. Il modello che ci viene proposto è anche sbagliato:

l’uomo non è sempre vincente, vive anche di insuccessi, fatiche, difetti, ferite. Se non lo acquisiamo come dato di fondo rischiamo di immaginare che siamo noi sbagliati, e invece lo è il modello.

Cosa fare con i casi di sofferenza estrema che inducono anche a chiedere la morte?

Quando si parla di grave sofferenza, di terminalità, di condizioni di vita insopportabili, bisogna essere molto rispettosi, perché nessuno di noi è nelle condizioni di quella persona. Mi sono convinto che la risposta non sia fondamentalmente medica o scientifica, terapeutica o farmacologica, ma relazionale. Il dolore può essere trattato con la farmacologia, ma gli stati di sofferenza, in quanto condizioni psicologiche e spirituali, si possono trattare con la relazione. In base al proprio vissuto, alle scelte valoriali fatte, agli scenari affrontati, si può decidere di affrontare in una maniera o nell’altra la fase finale della propria vita, ma appare chiaro che se intorno a me non ho relazioni che mi sostengono, e una comunità che mi accompagna, la solitudine prende il sopravvento, e così le alternative si riducono. Se poi non riesco ad avere accesso nemmeno ai percorsi di cure palliative, poiché non sono presenti né sempre né dovunque, allora diventa tutto difficilmente sopportabile.

Vita nascente e maternità oggi che domanda pongono alla nostra società?

La risposta è nel senso che noi diamo alla vita. Se la concepiamo come un dono ricevuto da condividere, allora acquisiscono un senso pieno la difesa della vita nascente, la protezione e il sostegno alla maternità. La nostra vita ha senso nella misura in cui è donata, è condivisa, e quindi creare vita significa creare una società sana e accogliente per la vita. Se invece la concepiamo come un possesso, in cui io sono titolare e unico proprietario della vita che ho ricevuto ma che ho deciso di gestire come voglio, a quel punto la mia vita stessa diventa la ricerca di una soddisfazione e un godimento continui: io vengo prima di qualunque altra esigenza, anche della vita stessa. Cito un’opera d’arte presente all’Istituto Serafico di Assisi, realizzata da un ospite: «Non c’è mica solo la felicità nella vita, c’è la vita».

Dai sensori della pastorale della salute negli ospedali e sui territori le sembra che la sanità italiana abbia appreso qualcosa dalla pandemia?

Sicuramente è stata una prova molto importante, uno “stress test” del Servizio sanitario nazionale. In gran parte l’abbiamo superato, ma in alcuni scenari siamo risultati mancanti. Ora abbiamo la grande opportunità di rivedere i nostri modelli di cura, ma non mi sembra che si sia preso coscienza fino in fondo che il sistema ha retto solo parzialmente. Le riforme o i progetti di riforma che circolano sono solo aggiustamenti di un sistema, anche laddove invece si chiede che venga ripensato per intero.

Lei è appena stato confermato alla guida dell’Ufficio Cei. Qual è il suo programma di lavoro?

Francamente non ho un programma di lavoro definito, perché questa riconferma non era scontata, e quindi non ho predisposto un programma per il secondo quinquennio. Il 20 e 21 febbraio ci ritroveremo a Roma con tutti i direttori della pastorale della salute provenienti dalle diocesi italiane. Raccoglieremo, con un approccio realmente sinodale, tutte le proposte e le istanze, e poi predisporremo il programma pastorale dei prossimi cinque anni.

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Percorsi formativi dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute

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Quando, nel marzo 2020, è iniziato il periodo in cui la vita di noi italiani è stata modificata dalla pandemia del Covid-19, abbiamo dovuto accelerare la nostra capacità di utilizzo degli strumenti digitali. L’isolamento sanitario e sociale e la quarantena hanno comportato la necessità di utilizzare in modo molto più capillare gli strumenti di collegamento elettronici: chat, videochiamate, collegamenti di gruppo, strumenti di condivisione delle informazioni.

Partendo dal fatto che tra le finalità proprie dell’Ufficio nazionale si pongono in primo piano “l’approfondimento culturale e la riflessione pastorale” sulle “tematiche etiche, educative e deontologiche riguardanti la vita umana e l’assistenza socio-sanitaria”, e che ciò si realizza anche attraverso un compito specifico, quello di promuovere la formazione dei diversi soggetti operanti ai vari livelli, anche curando diversi percorsi di formazione e promuovendo “l’approfondimento dei temi di maggior rilievo e urgenza”, si può rilevare come queste finalità siano state perseguite e questi compiti assicurati anche in un contesto così profondamente mutato. I percorsi formativi, gli appuntamenti di aggiornamento, hanno subìto rallentamenti, se non significative battute d’arresto, così pure i convegni, i seminari di studio e approfondimento, gli appuntamenti di équipe, i tavoli di lavoro: tutto si è trasferito in un mondo “virtuale”.

L’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute non si è trovato impreparato, anzi: fin dal 15 novembre 2017 è attivo il canale YouTube dell’ufficio; come pure da tempo sono attivi altri digital media. Nei fatti YouTube è divenuto uno strumento prezioso per il periodo di pandemia – e lo è tuttora.
Grazie alla vasta rete di collaborazioni, che costituiscono un fondamentale supporto per la pastorale della salute, si è potuto continuare a realizzare i Convegni (Nazionale e tematici) e i Seminari e Corsi di formazione, anche con modalità e contenuti nuovi e specifici. L’emergenza pandemica ha fatto emergere nuove capacità, valorizzando e mettendo a disposizione di molti le risorse formative disponibili. Generando, per altro, un senso di comunità (sia sotto il profilo pastorale che per la dimensione sanitaria) che non ha cessato di incontrarsi e di sentirsi coesa.
Alcuni numeri aiutano ad approfondire meglio quanto accaduto e sta accadendo.

Il canale YouTube dell’Ufficio nazionale oltre che per i corsi di formazione è stato utilizzato sia per la trasmissione dei Convegni nazionali che si sono svolti negli anni, fin dalla primavera del 2018, sia per le relative sessioni tematiche, facendo in modo che potessero partecipare, senza spostarsi dalle loro sedi, gli operatori pastorali e i professionisti sanitari destinatari di specifici approfondimenti, sia ancora per la trasmissione – nel lockdown – dei momenti di preghiera dalle cappellanie ospedaliere in occasione della Giornata Mondiale del Malato.
Il totale, per difetto, delle dirette Video del canale al 30 novembre 2022 è di circa 250 trasmissioni streaming dal vivo rivolte al pubblico, ed una trentina destinate a dei gruppi definiti di utenti.

Il dato complessivo – sempre al 30 novembre 2022 – che emerge è che sono oltre 273.390 le visualizzazioni totali. La durata della fruizione varia in funzione della tipologia di evento visualizzato: dai pochi minuti dell’Inno della Giornata Mondiale del Malato 2022, alle ore di partecipazione dei Convegni e dei corsi, sia in diretta, sia seguiti nei momenti che da casa, o dal proprio luogo di formazione (struttura sanitaria, parrocchia, associazione), si sono ritenuti più opportuni.

Il dato che riassume l’impatto di YouTube sulla pastorale della salute – a livello di Ufficio Nazionale – è l’1.854.042 di “impressioni”, ossia il numero di volte in cui le miniature dei video del canale sono state mostrate agli spettatori. Tale dato include solo le impressioni su YouTube, non su siti o altre app esterne. Ciò significa che il messaggio della pastorale della salute offre un coinvolgimento molto vasto e significativo.
La vastità, tra l’altro, si rileva dal fatto che alcune delle proposte video sono state seguite da altri Paesi: tra questi Germania, Gran Bretagna, Malta, Portogallo, Russia, Spagna, Svizzera, Ucraina, e fuori dall’Europa: Argentina, Brasile, Kenya, Messico e Stati Uniti.

Altri dati sono rappresentativi del mondo dei fruitori: una maggioranza femminile (circa il 60% contro il 40% di maschi), un’età media diversificata, di cui circa la metà tra i 35 e i 64 anni, ed un buon 45% oltre i 64 anni, e la provenienza. I dati a disposizione in merito sono fortemente indicativi di un utilizzo (e quindi di una previa conoscenza e informazione) assolutamente territoriale: dopo le grandi città (Roma, Milano, Palermo, Napoli, Bologna, Torino, Firenze, Bologna, Catania) compaiono tante località, piccole e grandi, dove è evidente che ha funzionato il passa parola. A conferma di ciò, il principale mezzo attraverso cui si accede ai contenuti di YouTube è WhatsApp (con ben 37.618 accessi), cui segue Gmail (con 21.112 accessi): due strumenti che appartengono alla categoria del rapporto diretto. Solo terzo il motore di ricerca di Google, che fornisce l’accesso al 7,8 % delle visualizzazioni.

L’ultimo gruppo di dati significativi attiene alle risposte attive: gli iscritti al canale, con un dato aggiornato al 30 novembre 2022, risultano essere 6219. Le ore complessive di visualizzazione pubblica sono 63.610 (arrotondando per difetto).
Un dato non quantificabile, ma evidente, è il coinvolgimento attraverso il dialogo nella chat dello streaming in tempo reale: significativo di una rapida interazione “in diretta”. Si tratta di rimodulazioni comunitarie che permettono di interagire anche laddove la comunicazione sia sbilanciata, ma non risulta monodirezionale.

In sintesi, il canale YouTube dell’Ufficio si è dimostrato e tuttora si dimostra realmente utile, per motivi diversi e complementari tra loro; se la rete Internet e gli altri social non si sostituiscono ai rapporti interpersonali, tuttavia permette di raggiungere due importanti risultati: il primo, di collegarsi, quando non è possibile la presenza reale, e soprattutto di offrire un percorso di qualità – il grazie doveroso va a tutti i relatori e formatori che si susseguono – tanto per la pastorale della salute quanto per le diverse realtà ecclesiali e sanitarie che cercano riferimenti specifici e contenuti altrettanto specifici.

Roma, 18 dicembre 2022
A cura dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute


Umanizzare le cure, stile Betania

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di  MASSIMO ANGELELLI

A Betania, succede qualcosa di usuale, qualcosa che può accadere facilmente ancora oggi. Sei in viaggio e chiedi ospitalità a persone che conosci. Il gruppo in cammino è ospitato a casa di Marta. Saranno state oltre una quindicina di persone: il Maestro, i Dodici più alcune donne che erano con loro (cfr Lc 10, 38-42). È questo lo scenario evocato ne I cantieri di Betania, il documento guida per il secondo anno di Cammino sinodale predisposto dalla Cei. Le principali parole chiave evocate dal documento sono: cammino, ascolto, accoglienza, ospitalità, servizio, casa, relazioni, accompagnamento, prossimità, condivisione. Tutte parole note alla pastorale della salute e molto care, perché segnano stile e metodo del prendersi cura delle persone, ma che a quasi tre anni dall’inizio della pandemia chiedono di essere nuovamente declinate e pensate in un tempo attuale che ha visto cambiare abitudini, percezioni, stili di vita. Siamo cambiati, pur non volendolo. Forse sarebbe opportuno riconoscere che siamo stati cambiati.

Per questo motivo, fortemente provocati, abbiamo posto alla grande rete della pastorale della salute in Italia questi interrogativi. In particolare, nel secondo dei Cantieri di Betania, quello «dell’ospitalità e della casa», ci sentiamo coinvolti. L’intuizione originale di san Giovanni di Dio è proprio il carisma dell’ospitalità, della volontà di accogliere e accudire i più bisognosi. L’ospedale [ hospitale] è il luogo dove cerchiamo la cura dei professionisti che, forti delle conoscenze scientifiche acquisiste, la modulano secondo i bisogni della persona malata. La casa è il luogo della protezione e della sicurezza, il luogo amico in cui le relazioni sono tra le più forti che viviamo. Al tempo stesso è anche il luogo dove la mia fragilità è più protetta, dove vivere l’esperienza della ma-lattia è più sopportabile, perché circondato da luoghi, ricordi e persone rassicuranti. La vulnerabilità che è generata dalla malattia può essere riportata a un equilibrio necessario per poter continuare a vivere.

Questi due luoghi – l’ospedale e la casa –, reali e simbolici, devono sempre più essere vicini e somigliarsi, perché la persona ha bisogno di luoghi e volti amici per poter affrontare meglio le sue sofferenze. In un interscambio virtuoso dobbiamo far sì che gli elementi e i percorsi della cura possano essere vissuti al domicilio, così come, quando dovesse essere necessario, nei luoghi della cura ci si possa sentire un po’ come a casa, con luoghi adeguati e con la presenza degli affetti che rassicurano e accompagnano. La chiamano umanizzazione delle cure, segno che un po’ oggi rischiano di essere disumanizzate. Perché la peggiore delle esperienze è vivere la malattia in solitudine. Nel Cantiere dell’ospitalità e della cura ci viene chiesto di «approfondire l’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e la tensione dinamica tra una ricca esperienza di fraternità e una spinta alla missione che conduce fuori. Si interrogherà poi sulle strutture, perché siano poste al servizio della missione e non assorbano energie per il solo auto-mantenimento, e dovrà verificarne sostenibilità e funzionalità ». La mente va veloce alla qualità delle relazioni che intercorrono tra i tre protagonisti principali della cura: la persona malata, i curanti e gli affetti più cari. Tutti protagonisti, tutti necessari, e in particolare tutti chiamati a fare il massimo sforzo affinché venga posto il tema della relazione come componente essenziale del percorso di cura. La persona malata ha bisogno di essere curata e di sentirsi curata. Tutti i professionisti della cura sentono il bisogno di essere riconosciuti nel loro ruolo di persona «che ha scelto di dedicarsi ai bisogni di salute della persona, della comunità e dell’ambiente ». Anzitutto persona, poi anche professionista della cura. Le persone accanto al malato, in virtù del legame relazionale che nutrono, non possono e non devono essere escluse dal suo vissuto. Appare evidente, invece, che sono soggetti che possono svolgere un ruolo importante per il sostegno all’esperienza del sofferente. È opportuno sottoporre a una verifica approfondita la qualità delle nostre relazioni nei contesti della cura, rimuovere rapidamente gli ostacoli per poter creare luoghi in cui sia evidente che si cammina insieme, per il bene del più vulnerabile.

Una riflessione ampia, serena e colma di parresìa, inoltre, dovrà maturare proprio sul tema delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali di origine cattolica e di ispirazione cristiana, laddove la domanda non potrà essere orientata solo al tema della sostenibilità e funzionalità, questione piuttosto evidente. Ci si dovrà interrogare molto anche sulla domanda se queste strutture siano ancora segno profetico di una Chiesa che si fa prossimo agli invisibili e agli irraggiunti da un sistema di offerta sanitaria che tende a escluderli. Quanto le nostre strutture possono definirsi testimonianti di un Vangelo che propone in modo prevalente l’imperativo di prendersi cura (amarsi) gli uni con gli altri, privilegiando i meno amati, i meno inclusi?

Sembrano troppe domande per pochi mesi di Cammino sinodale, ma la necessità di ricercare le risposte ci imporrà di continuare a camminare, insieme, fino a trovarle.

Direttore Ufficio nazionale per la Pastorale della salute

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Torino, 22 ottobre ’22 – I giovani e la Sofferenza Mentale: consapevolezza, integrazione e rischi di esclusione

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Convegno diocesano in occasione della Giornata mondiale della Salute mentale con l’obiettivo di stimolare l’attenzione sul tema delle fragilità mentali.

Crediti ECM per tutte le professioni sanitarie.
L’incontro è valido per il rinnovo del mandato dei Ministri straordinari della Comunione e ai fini dell’aggiornamento IRC.

Incontro rivolto anche a tutte le professioni non ECM ed agli ASSISTENTI SOCIALI

Programma

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Vescovi Emilia Romagna, “sia consentita la presenza dei familiari accanto agli anziani e agli ammalati ricoverati”

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Una lettera al Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, all’Assessore regionale alle Politiche per la Salute, Raffaele Donini, e per conoscenza al Difensore Civico, Carlotta Marù, “affinchè venga rapidamente consentita la presenza dei familiari accanto agli anziani e agli ammalati ricoverati negli ospedali e nelle strutture socio-sanitarie di ricovero, nel rispetto del contesto sanitario attuale e della normativa vigente”.

Ad inviarla nei giorni scorsi è stata la Consulta regionale della Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale dell’Emilia-Romagna (Ceer), guidata dal card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna.

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Nasce «ConAdoa» rete tra le opere nate nelle diocesi

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Si chiama ConAdoa, è il Coordinamento nazionale che riunisce Associazioni diocesane Opere assistenziali e Organizzazioni non profit e del terzo settore. Si è costituito martedì 12 su ispirazione dell’esperienza di Adoa Verona, anche se ha sede a Roma. «Qualche anno fa ho conosciuto il servizio che Adoa svolge a Verona da più di un decennio – dice don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Cei –. Mi ha convinto in particolare il metodo di lavoro sinodale.

ConAdoa permetterà ancora di più alle realtà diocesane di camminare insieme nel confronto e nella reciproca collaborazione». «Lo scopo del nuovo sodalizio è proporre e coordinare sinergie per realizzare azioni comuni di sensibilizzazione e formazione – spiega Tomas Chiaramonte, direttore generale Adoa Verona –. Vogliamo offrire occasioni di riflessione e confronto nella Chiesa e con le istituzioni, pubbliche e private»

(Romina Gobbo)