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Cliccando qui è possibile ripercorrere, attraverso testi e video, le 3 giornate di lavori del XXIII Convegno Nazionale degli incaricati diocesani del Sovvenire, svoltosi a Roma dal 15 al 18 febbraio.
Vogliamo ricordare, a tal proposito, le significative parole del Papa, pronunciate agli incaricati nella Sala Clementina la mattina del 16 febbraio (da pag. 10).
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Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Ringrazio il Cardinale Zuppi per le sue cortesi parole e saluto tutti voi, che partecipate al Convegno nazionale sul tema «Avevano ogni cosa in comune» (At 2,44). Il Sovvenire nel Cammino sinodale. Giungendo dai diversi territori d’Italia, portate la ricchezza delle vostre Chiese e la responsabilità di un servizio che trova le sue radici nella prima comunità cristiana. Descrivendola, infatti, il libro degli Atti degli Apostoli dice che i credenti avevano «un cuore solo e un’anima sola» (4,32). La fede in Cristo si traduce nella vita e in scelte concrete, come la comunione dei beni, le donazioni dei propri possedimenti e la distribuzione del ricavato da parte degli Apostoli a favore dei più bisognosi (cfr At 4,34-35). La comunità apostolica incomincia a trasformare il mondo a partire dal nuovo stile di vita improntato al Vangelo. Tutti partecipano, in base ai propri talenti e anche con i propri averi, a questa “rivoluzione evangelica”, che rende visibile a tutti l’amore insegnato e donato da Gesù.
Da allora, le condizioni storiche dell’umanità sono molto cambiate, ma questa dinamica, grazie a Dio, è ancora presente, anche incisiva nella vita della Chiesa e, attraverso di essa, nella società. Essa ha ispirato l’attuale sistema di sostegno economico alla Chiesa in Italia, che voi chiamate Sovvenire e che si può riassumere in due parole: corresponsabilità e partecipazione. Anche in questo tratto di storia nazionale, dalla revisione del Concordato fino a oggi, parecchie cose sono mutate. Eppure, queste due parole – corresponsabilità e partecipazione – mantengono tutta la loro forza e la loro attualità, e anzi aiutano a costruire una Chiesa più solidale e più unita. Corresponsabilità e partecipazione.
Essere membra del Corpo di Cristo ci lega indissolubilmente al Signore e, nello stesso tempo, gli uni agli altri. Ecco, allora, la corresponsabilità. Nella Chiesa nessuno dev’essere solo spettatore o, peggio ancora, ai margini; ciascuno deve sentirsi parte attiva di un’unica grande famiglia. La corresponsabilità è il contrario dell’indifferenza, come pure del “si salvi chi può”; è l’antidoto contro ogni forma di discriminazione, contro la tendenza a voler primeggiare a tutti i costi, a guardare solo a sé stessi e non a chi ci sta accanto. I cristiani si sorreggono a vicenda, chi è più forte sostiene chi è più debole (cfr Rm 15,1) – almeno dovrebbe essere così -: questo significa amare, essere comunità e condividere ciò che si ha, anche i beni materiali e il denaro, perché a nessuno manchi il giusto sostentamento. Di passaggio ho detto la parola “indifferenza”. Credo che questa è la malattia più brutta che possiamo avere: diventare indifferenti, asettici rispetto ai problemi degli altri, come quei due “ecclesiastici” che sono passati davanti al povero uomo che era stato ferito dai ladri. L’indifferenza: guardare ma non vedere e non voler vedere.
La corresponsabilità implica, dunque, la partecipazione, cioè il coinvolgimento. Come ho detto in altre occasioni, non si può “balconear”, cioè stare alla finestra a vedere la vita che passa. Bisogna prendere l’iniziativa, bisogna rischiare, camminare, incontrare. Solo così possiamo far crescere comunità con il volto di madre e uno stile di fraternità effettiva, dove tutti hanno «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32) e fra loro tutto è comune. Il Sovvenire è un modo concreto di esprimere la partecipazione, di rendere presente quel vincolo di amore che ci lega gli uni agli altri. Nella rivelazione di Gesù non esistono cristiani di “serie A” e di “serie B”, tutti siamo figli dell’unico Padre, fratelli e sorelle. Il processo sinodale sta facendo emergere questa presa di coscienza diffusa e, nello stesso tempo, necessaria: cioè l’esigenza, di mettere da parte certi modelli sbagliati che tendono a dividere le nostre comunità. Guardiamo alla Chiesa delle origini: si evangelizza insieme e con gioia! Solo insieme, nell’armonia delle diversità, si può testimoniare la bellezza dell’amore che libera, che si dona, che permette di uscire dalle dinamiche negative dell’egoismo, dei conflitti, delle contrapposizioni.
Per questo, vorrei aggiungere una terza parola: comunione. La corresponsabilità e la partecipazione edificano e sostengono la comunione; a sua volta, questa motiva e spinge a partecipare e ad essere corresponsabili. Lo state sperimentando in questi primi due anni di Cammino sinodale dedicati all’ascolto. Teniamo sempre presente la parola del Signore: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35): è il tempo della testimonianza, e di far fruttare i doni ricevuti. Fratelli e sorelle, nel vostro servizio quotidiano, potete porvi questo interrogativo: siamo segno concreto di unione e di amore? Se manca la comunione, viene meno la motivazione e si alimenta la burocrazia.
Corresponsabilità, partecipazione e comunione. Sono i vostri pilastri, e richiamano le parole-chiave del Sinodo: comunione, partecipazione, missione. Non è un caso. In più, nel tema sinodale, c’è il termine “missione”, a ricordarci che tutto nella Chiesa è per la missione; anche il vostro servizio, anche il Sovvenire, è per sostenere comunità missionarie. E questo, devo dire, si vede nelle vostre campagne: fate trasparire la realtà di una Chiesa “estroversa”, che cerca di assomigliare al modello evangelico del buon samaritano.
Cari amici, vi ringrazio per il vostro servizio. Vi affido a San Giuseppe, che ha sostenuto con fede e con premura la vita della Santa Famiglia. Buon lavoro per il vostro Convegno. Di cuore benedico voi, benedico i vostri cari, benedico il vostro lavoro. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!