Category Archives: In evidenza

Il CAAtechismo di Prato per vincere la sfida dell’inclusione

vai all’articolo
L’idea di un catechismo realizzato con la Comunicazione Aumentativa e Alternativa, è un segno di una nuova sensibilità della Chiesa verso la disabilità. Don Carlo Geraci, parroco di Santa Maria della Pietà a Prato e responsabile dell’Ufficio catechistico diocesano, ci racconta come è nata questa esperienza.

“Il nostro percorso di Caatechismo, noi lo chiamiamo così, non è pensato per i bambini e i ragazzi disabili, ma è rivolto a tutto il gruppo. Il suo obiettivo è includere, non escludere”. Don Carlo racconta così le radici del catechismo realizzato con la Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA), da qui il gioco di parole, che nel gennaio 2023 è arrivato al terzo volume, dedicato alla preparazione della Comunione. “L’idea è nata nel 2018 da un’esigenza riscontrata sul campo – ricorda il sacerdote – c’era un gruppo di genitori con bambini con bisogni comunicativi complessi che utilizzava la CAA per i loro figli e abbiamo pensato che fosse importante proporre qualcosa per tutti”.

Da questa esigenza e dallo sforzo di alcuni genitori e catechisti delle parrocchie della Resurrezione e di Sant’Ippolito in Piazzanese a Prato è nato il primo volume, dedicato all’iniziazione cristiana, pubblicato nell’ottobre 2018, a cui ne è seguito un secondo in preparazione del sacramento della Confessione. “Il percorso per la creazione del catechismo in CAA – spiega don Carlo – parte dai materiali della Conferenza Episcopale Italiana e da una riflessione sui contenuti, che sono gli stessi per tutti, ma con un linguaggio adattato all’età dei ragazzi e delle ragazze. Successivamente si passa alla trascrizione nella Comunicazione Aumentativa e Alternativa”. “La CAA – precisa don Geraci – è un linguaggio che viene utilizzato per persone con bisogni comunicativi complessi. Si basa su pittogrammi, che vengono creati con un programma, nel nostro caso  AraWord, completamente gratuito e libero da copyright”.

Una nuova possibilità di comunicazione, sulla quale è importante formarsi. “Non abbiamo fatto formazione a tappeto – dice il parroco – ma abbiamo organizzato incontri per dare gli strumenti di base. Quando si usa la CAA si lavora in gruppo, con sacerdoti, catechisti e genitori”.

La nostra catechesi – spiega don Carlo – è un’occasione di crescita per il gruppo. Aiuta a sperimentare l’accoglienza e dà vita spesso a dei percorsi bellissimi”. L’idea di un catechismo realizzato con la Comunicazione Aumentativa e Alternativa, è un altro segno di una nuova sensibilità della Chiesa verso la disabilità. “In passato– racconta il sacerdote toscano – qualcuno pensava che per ragioni diverse per le persone con disabilità non fosse necessaria una catechesi. Ora invece è stato creato un ufficio apposito per loro. In passato era come se ci fosse una sorta di gap, c’erano i ragazzi con disabilità a scuola, ma non erano in molti quelli che poi frequentavano l’oratorio. Ora si sta lavorando per colmare questo divario”.

La strada del catechismo in CAA realizzato dalla Diocesi di Prato, i cui materiali sono utilizzati in parrocchie di tutta Italia, però non è ancora completo. “In futuro – conclude don Carlo Geraci – vogliamo concludere il percorso, con un volume che porti fino alla Cresima”. Nel lavoro di don Carlo e dei catechisti sono coinvolti alcuni genitori di figli con bisogni comunicativi complessi, come Sara Meoni, 43 anni, mamma di Matteo, ragazzo di 13 anni e mezzo. “Ho cominciato – ricorda la donna, una delle componenti dell’équipe diocesana che si occupa di redigere il Caatechismo– perché mio figlio iniziava il catechismo e non esisteva nessun supporto in CAA per lui. Dato che già adattavo i materiali per la scuola, ho cominciato ad adattare i testi della catechesi. Un giorno don Carlo ha visto il nostro quaderno con i pittogrammi e mi ha detto, “perché lo devi fare tutto da sola?”. E ha proposto di fare qualcosa di più strutturato. Siamo partiti da qui”. “Io sono stata fortunata – aggiunge la contabile- perché ero già capace. Quando abbiamo scoperto il ritardo cognitivo di Matteo la logopedista mi ha parlato dell’esistenza della CAA e ho frequentato corsi e master. Ma ci sono tante persone che da sole non sono in grado o non hanno il tempo di fare questo lavoro, con i figli che magari non frequentano il catechismo anche per questa ragione”.

Trasporre un testo in Comunicazione Aumentativa e Alternativa infatti è un percorso lungo, a tratti faticoso. “L’aspetto più difficile – racconta Sara – è semplificare. È un linguaggio simbolico, dunque è per forza riduttivo e poi non si può tradurre tutto, anche per ragioni di comodità e spazio”.

“Personalmente lui ne ha beneficiato, ma non appieno– dice Sara che è mamma anche di Anna, 8 anni – Matteo ha ricevuto la Cresima quest’anno e i materiali del catechismo in CAA su quella parte del percorso non esistevano ancora, così come avevo già fatto, li ho tradotti anche io. La Comunicazione Aumentativa e Alternativa di certo per lui è stata fondamentale per capire e farsi capire, soprattutto perché i suoi compagni del catechismo non sono gli stessi della scuola, dove tutti lo conoscono”. Un uso, quella della CAA, che ha contribuito ad aiutare Matteo anche in altri momenti. “Conosce e segue ogni momento della Messa – spiega la 43enne – e ultimamente per le celebrazioni non stiamo più usando il nostro quaderno con i pittogrammi”. Il successo dei materiali in CAA sono una soddisfazione anche per Sara e per chi con lei collabora alla creazione del Caatechismo. “I riconoscimenti che ci stanno arrivando – conclude la donna – sono una gratificazione. Ci chiamano per fare incontri, sia parrocchie ma anche associazioni che si occupano di autismo. E per me è bello dare una mano, perché so cosa si prova a riuscire ad aiutare proprio figlio”. Un cammino, quella della Diocesi di Prato, dove catechismo fa rima con inclusione.

(di Roberto Brambilla / foto gentilmente concesse dalla diocesi di Prato per unitineldono.it)

Festival delle comunicazioni: Catania si prepara a “parlare col cuore”

vai all’articolo
La XVIII edizione della manifestazione organizzata dalle Paoline e dai Paolini per la LVII Giornata delle comunicazioni sociali si svolgerà nella città siciliana dal 14 al 21 maggio, ma già da questi giorni sono in corso i primi eventi. Il Festival, che ogni anno si svolge in una diversa diocesi italiana, “con l’intento di coinvolgere in maniera attiva tutta la Chiesa e far emergere le tante valide risorse del territorio”, avrà come filo conduttore “Parlare col cuore e farlo con mitezza”, il tema scelto dal Papa per la giornata di quest’anno.

L’8 maggio ospite dell’evento anche il responsabile del Servizio Promozione della CEI Massimo Monzio Compagnoni nello spazio dedicato al tema “Dal Cuore alle mani – Condividere i bisogni per condividere il senso della vita”, dedicato agli attori del terzo settore della Caritas e movimenti ecclesiali. Con lui anche rappresentanti del banco alimentare della Caritas diocesana e di S. Egidio. Un’occasione preziosa per ricordare l’importanza di destinare l’8xmille alla Chiesa cattolica grazie ad un gesto semplice, come una firma che non costa nulla in più, ma che fa bene, a noi e agli altri.

Ricordiamo che il Festival della Comunicazione si muoverà alla ricerca della Parola e delle parole per creare relazioni, promuovere la cultura del territorio, raccontare il bene grazie a 40 eventi, tutti gratuiti, divisi in 20 giorni (cinema, musica, teatro, arte, presentazione di libri, conferenze tematiche, attività laboratoriali) e ideati per ogni fascia di età, a cui interverranno nomi noti della comunicazione, scrittori, giornalisti, relatori, musicisti, cantanti, esperti, studiosi di fama nazionale e regionale per “dare concretezza all’invito del Papa “a cercare e a dire la verità e a farlo con carità”. A conclusione dell’evento è in programma la Celebrazione Eucaristica in Cattedrale, che sarà presieduta da Mons. Luigi Renna, Arcivescovo di Catania, domenica 21 maggio 2023.

Il Festival permetterà un articolato viaggio dall’ascolto alla parola attraverso diversi linguaggi: dal giornalismo ai libri, dalle arti grafiche alla fotografia, dalla musica al teatro, dal digitale ai laboratori manuali. La manifestazione intende offrire significative occasioni di incontro e di approfondimento su tematiche sociali, culturali, spirituali e della comunicazione al fine di far riflettere sui tanti spunti e sull’attualità del Messaggio del Santo Padre.

Altre notizie sul programma degli eventi è disponibile sul sito della Settimana della Comunicazione, nella sezione “Eventi”.

Africa / Da Merano al cuore del Benin una scuola per 300 bambini

vai all’articolo
La nuova struttura didattica di Firou, inaugurata nei giorni scorsi, è stata costruita dal Gruppo Missionario “Un pozzo per la vita” di Merano (GMM), in provincia di Bolzano, in collaborazione con la Caritas della diocesi di Natitingou e con il contributo dai fondi dell’8xmille assegnato dal Servizio per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo della Conferenza episcopale italiana. L’opera è costata 214mila euro, di cui 180mila messi a disposizione dalla Cei.

È l’unica scuola primaria esistente nella zona di Firou, un centro di 12mila abitanti tra le montagne di Atakora, nel Nord del Benin, Stato dell’Africa occidentale tra la Nigeria e Togo. Oltre ai bambini del posto, ogni mattina arrivano qui dai quindici villaggi rurali del circondario circa 300 alunni che altrimenti non avrebbero altre occasioni per imparare a leggere e scrivere. La scuola più prossima, infatti, situata nel capoluogo della regione Kérou, è distante 25 chilometri: troppi in una zona con scarsi collegamenti stradali e senza adeguati servizi di trasporto.

Il progetto, inoltre, consente di accogliere nella scuola anche i figli delle famiglie più povere grazie al sostegno della “rete” di solidarietà tra le scuole cattoliche della diocesi di Natitingou. L’obiettivo è di dare la possibilità a tutti di completare gli studi e proseguirli anche nei livelli superiori. «La priorità è l’educazione» afferma il vescovo di Natitingou, Antoine Sabi Bio. L’obiettivo della diocesi, che copre il territorio dell’Atacora, è di poter mettere a disposizione della popolazione almeno una scuola primaria in ogni parrocchia. Qui il resto dell’articolo di Fulvio Fulvi (Avvenire 27 aprile 2023).

 

Papa Francesco / Il sacerdote non è uomo di lamenti e giudizi ma dell’armonia di Dio

vai all’articolo
Alla Messa crismale del Giovedì Santo in San Pietro, Francesco parla della vocazione sacerdotale e delle prove che essa può subire: è necessario abbandonarsi allo Spirito e lasciare che la propria vita profumi della sua presenza, senza lasciarsi andare alla mediocrità e ai compromessi.

Qui il servizio completo di Adriana Masotti per Radio Vaticana News.

In particolare, Francesco propone alcune domande che provocano un profondo esame di coscienza come quando invita i sacerdoti a chiedersi se la propria realizzazione “dipende dalla mia bravura, dal ruolo che ottengo, dai complimenti che ricevo, dalla carriera che faccio”, oppure se la propria vita “profuma” dell’unzione dello Spirito. Per intraprendere questo passo di maturazione è necessario, dice il Papa, partire dal riconoscimento della propria debolezza:

Fratelli, la maturità sacerdotale passa dallo Spirito Santo, si compie quando Lui diventa il protagonista della nostra vita. Allora tutto cambia prospettiva, anche le delusioni e le amarezze, anche i peccati, perché non si tratta più di cercare di stare meglio aggiustando qualcosa, ma di consegnarci, senza trattenere nulla, a Chi ci ha impregnati della sua unzione e vuole scendere in noi fino in fondo.

Il Papa sintetizza in una frase il senso di questo rinnovamento della vita sacerdotale quando non si vuole cucire su di sé delle toppe, ma ci si lascia guidare dallo Spirito. Afferma: “il nostro sacerdozio non cresce per rammendo, ma per traboccamento”. E mette in guardia dalla tentazione del compromesso tra falsità e luce cedendo alla mediocrità:

È vero, ogni doppiezza che si insinua è pericolosa: non va tollerata, ma portata alla luce dello Spirito. Perché se “niente è più infido del cuore e difficilmente guarisce”, lo Spirito Santo, Lui solo, ci guarisce dalle infedeltà. È per noi una lotta irrinunciabile: è infatti indispensabile, come scrisse San Gregorio Magno, che “chi annuncia la parola di Dio, prima si dedichi al proprio modo di vivere, perché poi, attingendo dalla propria vita, impari cosa e come dirlo. […] Nessuno presuma di dire fuori ciò che prima non ha ascoltato dentro” .

C’è un secondo aspetto che Papa Francesco vuol sottolineare dopo quello dell’unzione ed è la parola armonia che, dice, ne è la conseguenza. “Lo Spirito Santo, infatti, è armonia”, in Cielo, ma anche in terra. Nella Chiesa, afferma, “suscita la diversità dei carismi e la ricompone in unità, crea una concordia che non si fonda sull’omologazione, ma sulla creatività della carità”. “È il noi del Padre e del Figlio, perché è il loro nesso, è in sé stesso concordia, comunione, armonia”. Creare armonia è il compito di chi lo Spirito ha consacrato, anzi, sottolinea il Papa, creare armonia “è un’esigenza interna alla vita dello Spirito”. Francesco avverte:

Si pecca contro lo Spirito che è comunione quando si diventa, anche per leggerezza, strumenti di divisione (…) e si fa il gioco del nemico, che non viene allo scoperto e ama le dicerie e le insinuazioni, fomenta partiti e cordate, alimenta la nostalgia del passato, la sfiducia, il pessimismo, la paura. Stiamo attenti, per favore, a non sporcare l’unzione dello Spirito e la veste della Madre Chiesa con la disunione, con le polarizzazioni, con ogni mancanza di carità e di comunione. (…)Penso anche alla gentilezza del sacerdote: se la gente trova persino in noi persone insoddisfatte e scontente che criticano e puntano il dito, dove vedrà l’armonia? Quanti non si avvicinano o si allontanano perché nella Chiesa non si sentono accolti e amati, ma guardati con sospetto e giudicati!

Papa Francesco conclude con parole di gratitudine e di riconoscimento nei riguardi dei sacerdoti. Li ringrazia per la loro testimonianza, per il bene compiuto in modo spesso nascosto, “per il perdono e la consolazione che regalate in nome di Dio”. E invoca su di loro lo Spirito perché li sostenga e li faccia “profeti della sua unzione e apostoli di armonia”.

Chiavari / Oltre 450 iscritti ai 36 corsi della Scuola di formazione teologica

vai all’articolo
Fra le opere sostenute grazie ai contributi dell’8xmille alla Chiesa cattolica, a Chiavari c’è la Scuola di Formazione teologica, che quest’anno ha offerto 36 ambiti disciplinari, che affrontati in minicorsi da quattro lezioni ciascuna, in presenza, on line e sul territorio. Una struttura che ha trovato l’accoglienza favorevole di tante persone.

Qui il servizio pubblicato da teleradiopace.it e l’intervista a don Federico Pichetto direttore della Scuola.

Catechisti Parrocchiali / Il “sovvenire” nel cammino sinodale

vai all’articolo
Vi proponiamo l’ultimo contributo scritto da don Roberto Laurita su Catechisti Parrocchiali di febbraio 2023 dal titolo

IL SOVVENIRE NEL CAMMINO SINODALE

Dice un proverbio africano: «Se vuoi camminare più veloce, cammina da solo. Ma se vuoi andare più lontano, cammina insieme». Ecco perché la Chiesa italiana si sta impegnando in un percorso di «sinodalità». La parola, che viene dal greco, evoca l’esperienza del «camminare insieme». Lo abbiamo provato tutti. Quando si percorre un sentiero da soli ci si sente liberi di ritmare come si vuole il passo. E ci si sente eroi, che affrontano da soli la montagna. Ma basta un banale incidente, una svista, uno sbaglio, per trovarsi in seria difficoltà. Andare insieme impone tanti limiti: aspettare chi procede più lento, occuparsi di chi ha qualche male… Ma, qualsiasi cosa capiti, si sa che, in qualche modo, si arriverà. Ed è per questo che vale la pena procedere insieme.

Gesù non faceva tutto da solo. Aveva una famiglia di amici, a Betania, su cui poteva contare: Marta, Maria e Lazzaro. Ma c’era anche un gruppo di donne che lo seguiva e provvedeva a lui, agli apostoli, e alle loro necessità. Luca ci ricorda il loro nome: Maria, chiamata Maddalena, Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode, Susanna e molte altre (8,13). 

DUE ORGANISMI CHIAMATI A COLLABORARE
Cosa fare per assicurare che in una comunità si «cammini insieme»?

Nelle parrocchie ci sono due strumenti importanti a questo proposito: il Consiglio pastorale parrocchiale (CPP) e il Consiglio per gli affari economici della parrocchia (CPAE).

Il CPP è un punto di riferimento essenziale perché offre gli orientamenti e delinea le scelte importanti per la vita di una comunità. Il CPAE individua gli strumenti e le risorse di cui la parrocchia ha bisogno, tenendo presenti gli orientamenti del CPP.

Se il CPP ritiene prioritario per la parrocchia l’impegno per la catechesi, deve essere naturale che il CPAE impieghi le poche o tante risorse disponibili per questo scopo. Per esempio: sistemando adeguatamente le aule per gli incontri di gruppo, acquistando il materiale didattico, ecc.

«CONSIGLIARE» PER FACILITARE «LA COMUNIONE»
La comunità parrocchiale deve essere amata e sostenuta da coloro che la compongono. Un aiuto prezioso lo offrono coloro che fanno parte dei due Consigli indicati. Ma questi hanno bisogno dell’apporto di tutte le persone in grado di dare suggerimenti, di offrire collaborazione.

Così il gruppo dei catechisti non esenta la famiglia dall’impegno di trasmettere la fede, il coro non può fare a meno dell’apporto di tutta l’assemblea, il gruppo Caritas ha bisogno dell’aiuto di tutti con denaro, vestiario, cibo; allo stesso modo i consigli parrocchiali stimolano la corresponsabilità di tutti. Senza trascurare quell’aspetto della responsabilità verso la propria parrocchia che consiste nel non farle mancare le risorse indispensabili, tenendo conto dei costi necessari per realizzare qualsiasi iniziativa.

Nel vecchio catechismo c’era una norma, fra i cosiddetti precetti della Chiesa, che potrebbe essere così riespressa: «Non far mancare alla tua parrocchia, secondo le tue possibilità, il tuo contributo perché essa possa far fronte alle necessità delle sue strutture e dei suoi servizi».

PARLARE DI SOLDI
Parlare di soldi non è facile. Gli appelli per questa o quella iniziativa importante della comunità cristiana producono una reazione negativa, spesso tanto immediata quanto immotivata («Chiede sempre soldi!»). Come affrontare questo argomento spinoso nel modo migliore?

La strada maestra consiste nel saper fare un uso buono, corretto, trasparente e solidale delle risorse, cioè dei soldi che le sono affidati. Solo quando questo avviene qualsiasi richiesta di soldi può partire col piede giusto.

Rendere conto dell’amministrazione della parrocchia, quindi, diventa un’operazione non solo obbligatoria, ma anche utile per instaurare un rapporto corretto con i fedeli. Naturalmente questo significa fornire i bilanci annuali dettagliati, che rendano ragione delle entrate (offerte) e delle uscite (spese). In ogni caso i consigli devono porsi alcune domande: Attraverso quali iniziative è possibile far conoscere i nostri lavori all’intera comunità parrocchiale? In quale modo sollecitare tutti i fedeli a esprimere le loro aspettative e i loro bisogni? Quali persone potrebbero farsi carico della raccolta dei soldi destinati alle iniziative?

In fondo uno degli obiettivi dei «Cantieri di Betania» (seconda tappa del percorso sinodale), quello «della strada e del villaggio», non consiste proprio nell’intercettare bisogni e attese del territorio?

«SOVVENIRE» E «UNITI NEL DONO»
Non sono solo due slogan efficaci. Il card. Matteo Zuppi li ha riassunti in due frasi: «La Chiesa è casa tua» e «Dare una mano ai sacerdoti è bello». Se il primo si realizza attraverso l’8xmille alla Chiesa cattolica (al momento della dichiarazione dei redditi), il secondo ricorre alle offerte che i singoli possono fare all’Istituto di Sostentamento del Clero e dedurre dalle loro tasse.

Se la Chiesa è casa mia, posso tirarmi indietro quando ci sono importanti progetti da realizzare? Chi trova, per esempio, alloggi per i papà separati dalle loro famiglie, per anziani che non riescono a pagare l’affitto, per chi è stato licenziato dopo tanti anni di lavoro, per giovani con impiego precario, per famiglie in povertà? L’8xmille ha consentito di realizzare progetti a loro favore.

Se dare una mano ai sacerdoti è bello, perché privarsi della gioia di aiutare un prete ad affrontare i disagi della sua parrocchia, a creare spazi per l’incontro, a prendersi cura dei più fragili?

Anche questo è un modo concreto per camminare insieme.

“Dio è amore” / Chiave del pontificato di Benedetto XVI

vai all’articolo
Il Papa emerito, morto lo scorso 31 dicembre in Vaticano, durante il suo pontificato aveva parlato in continuazione della “gioia dell’essere cristiani”, dedicando la sua prima enciclica all’amore di Dio, “Deus caritas est”. Era il 2005 e di fronte agli scandali e al carrierismo ecclesiastico, Egli aveva continuato a far richiami alla conversione, alla penitenza e all’umiltà, proponendo un’immagine di Chiesa liberata dai privilegi materiali e politici per essere veramente aperta al mondo.

Nel 2006 il Servizio Promozione pubblica a firma di Luigi Mistò un Quaderno del Sovvenire dal titolo “Il cuore che vede“, che presenta un approfondimento del “sovvenire” alla luce dell’enciclica del Papa.

Il grande principio che Benedetto XVI enunciava nella sua enciclica era nel contempo meraviglioso e semplice: tutte le volte che si vive l’amore, che si mette in atto un gesto d’amore – e noi sappiamo bene nel profondo del nostro cuore quando stiamo amando per davvero o stiamo “barando” all’amore – lì si fa presente Dio e, quindi, la salvezza dell’uomo.

Mons. Mistò proponeva a chiusura del suo bel Quaderno del Sovvenire il Decalogo degli incaricati”, ovvero dieci indicazioni per gli operatori della carità affinché il loro lavoro possa essere efficace. Ve le riproponiamo, invitando a rileggere per intero la bella e utile pubblicazione.

Primo: gli incaricati devono essere persone mosse dall’amore di Cristo, persone il cui cuore Cristo ha conquistato con il suo amore, risvegliando l’amore per il prossimo (qui il Papa riprende la bellissima frase di Paolo, nella seconda lettera ai Corinzi 5, 14: “L’amore del Cristo ci spinge, caritas Christi urget nos”). Bisogna essere conquistati dall’amore di Cristo per poter davvero amare gli altri.

Secondo: si comprende, allora, che non si vive più per se stessi, ma per Lui; e appunto perché si vive per Lui e con Lui, per gli altri. L’amore di Cristo mi spinge al punto che, parafrasando ancora San Paolo, “per me vivere è Cristo”.

Terzo: chi ama Cristo ama la Chiesa, lavora per la Chiesa, ha passione per la Chiesa, per questa Chiesa insieme santa e fatta di peccatori, “casta meretrix”. Dobbiamo però renderla sempre più bella e capace di presentarsi al mondo nella sua vera immagine. Si ama la Chiesa non in modo supino, ma ricordando che “Ecclesia semper reformanda est”: l’attività pastorale degli incaricati deve promuovere un’immagine di Chiesa bella e attraente, coerente con l’incontro con un Dio che altro non è se non Amore.

Quarto: amare la Chiesa significa essere completamente dentro la Chiesa, lavorando in modo particolare attraverso la comunione con il vescovo. Il riferimento al vescovo per il ministero degli incaricati, per il loro servizio, è decisivo, e va tenuto come punto fermo. Pensiamo al vescovo diocesano, ma anche la figura del vescovo delegato regionale è importante. Il Servizio CEI ben lo sa. E finalmente si è riusciti a completare la “squadra”, “allenatore” compreso.

Quinto: tutto questo comporta una testimonianza. Testimonianza e missione nascono qui, dentro questo quadro teologico. Troppi appelli alla missione – ammettiamolo – risultano sganciati dal “cuore”, con la conseguenza di rimanere privi di risultato. Il nostro stesso operare, pur encomiabile, ne resta frustrato. La testimonianza vera, invece, racchiude dentro di sé una sua efficacia e il suo risultato.

Sesto: la gratuità. Il Papa lo dice, o lo suggerisce, lungo quasi tutta la sua lettera. La caratteristica – forse la prima – dell’amore di Dio è la gratuità, e si celebra nel modo più vero nel perdono. Se l’amore non fosse gratuito, non potrebbe raggiungere il vertice del perdono. E l’amore di Dio è la misura dell’amore dell’uomo.

Settimo: l’amore gratuito, che diventa la testimonianza più grande, trova una sua massima espressione in quel testo stupendo che è l’“inno alla carità” della prima lettera ai Corinzi al capitolo 13. Questo inno rappresenta per il “sovvenire” ed i suoi incaricati un’ulteriore “magna carta”. In esso sono riassunte tutte le riflessioni qui svolte sull’amore, a partire dall’enciclica.

Ottavo: condizione perché i primi sette punti possano realizzarsi, è che occorre essere coinvolti al punto da donare se stessi. L’amore comporta il dono della stessa vita: “partecipi all’altro te stesso”! Sono affermazioni che obbligano all’esame di coscienza, per comprendere quanta distanza ancora ci separi da questo ideale.

Nono: tutte queste modalità si devono accompagnare con quella virtù, per qualche verso sintetica dell’agire cristiano, che è l’umiltà. Facendoci capire che siamo servi inutili, Benedetto XVI da un lato ci preserva dallo scoraggiamento, dall’altro ci spinge alla costanza insieme paziente e direi quasi caparbia. Chi è umile sa di non essere lui, alla fine, ad operare, lui semplice strumento “inutile”; e questo preserva dal rischio della frustrazione infondendo invece grande speranza.

Decimo e ultimo: la preghiera. È il mezzo per attingere sempre nuova forza da Cristo e quindi efficacia nell’azione. Ed è bello rilevare che, proprio parlando di preghiera, il Papa porti l’esempio preclaro della Beata Madre Teresa di Calcutta.

Questo decalogo aiuti il ministero del “sovvenire” e degli incaricati e lo renda, alla fine, un servizio autentico a misura di carità, cioè un servizio d’amore.