Category Archives: Formazione

Susa: arte, natura e spiritualità a portata di APP

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L’app “Chiese a porte aperte” è un progetto unico in Europa: 42 luoghi di culto sparsi tra il Piemonte e la Valle d’Aosta, recuperati, restaurati e resi accessibili grazie ai fondi dell’8xmille e grazie all’impegno appassionato di una schiera di volontari.

Una volta effettuato l’accesso, tramite QR code si viene guidati alla scoperta del bene ecclesiastico al suo interno, attraverso una narrazione storica, artistica e devozionale, accompagnata da un sistema di luci direzionali e di micro proiettori che orientano il visitatore. Il tutto, accessibile anche ai disabili sensoriali, grazie a pannelli tattili, video con traduzioni in lis e tavole in comunicazione alternativa aumentativa. Lo spiega su www.unitineldono.it don Gianluca Popolla, incaricato regionale del Piemonte per i Beni Culturali Ecclesiastici.

La musica va oltre…le sbarre

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Grazie alla Chiesa, la musica scandisce la vita dei detenuti nella Casa circondariale “Ettore Scalas” a Uta, a una ventina di chilometri da Cagliari. Tanto da vedere la nascita nel 2020 di un gruppo musicale, formato da una decina di loro, protagonisti, lo scorso 3 luglio, di un concerto fortemente voluto dall’arcivescovo Mons. Giuseppe Baturi e organizzato nella cappella del Carcere nell’ambito del Cammino sinodale dal titolo “Camminare insieme… verso la libertà”. (L’articolo su unitineldono.it a cura di Maria Chiara Cugusi)

Una musica che suona di perdono, riscatto, speranza, futuro: come nome per la loro “band” hanno scelto “Free inside” ovvero “Liberi dentro”, dal testo di una delle canzoni che loro stessi hanno scritto. «Benché rinchiusi – raccontano -, siamo comunque liberi di andare con la mente dove vogliamo».

Il tutto inizia qualche anno fa, con il laboratorio di musica – una delle attività proposte dall’area educativa trattamentale all’interno della struttura – e con l’animazione musicale della messa nei weekend.  «La musica ci insegna a stare insieme, a trovare una sintonia tra di noi». Durante il concerto, diversi brani musicali che raccontano la loro quotidianità, intervallati da alcune testimonianze sulle esperienze di vita, sul cammino compiuto in questi ultimi due anni, basato sull’ascolto e sul dialogo reciproco. Tra le storie c’è quella di Christian (nome di fantasia): disoccupato, due figlie, alla fine del 2019 arriva a commettere, insieme alla compagna, un furto in una delle parrocchie del territorio diocesano, arrivando alla colluttazione con uno dei sacerdoti presenti. E proprio quel sacerdote era lì seduto ad ascoltarlo cantare lo scorso 3 luglio, lui a cui Christian già aveva chiesto perdono e che ha voluto invitare al concerto – aperto solo ai parenti dei detenuti e ai volontari – come se fosse un suo familiare.

Tra le testimonianze c’è anche quella di Paolo (nome di fantasia), che ha raccontato la gioia nell’aver consolato il suo compagno di cella, pronto per uscire ma poi nuovamente bloccato per altri 18 mesi per l’arrivo di un cumulo di pena. «Mi sono seduto vicino a lui per far sì che non vivesse quel momento di sofferenza da solo: è stato come il “camminare insieme”, che ho imparato da questo percorso sinodale». E ancora, nelle sue parole, la gioia nell’aiutare i nuovi arrivati, cercando di dare loro consigli e vicinanza.

Tutto ciò grazie a una Chiesa presente tra le mura carcerarie. «Il nostro impegno – racconta don Gabriele Iiriti, cappellano del carcere dal 2016 e direttore della Pastorale diocesana penitenziaria – manifesta il desiderio della nostra Chiesa diocesana di accompagnare il cammino, la crescita umana e spirituale di queste persone, per dare un senso alle loro giornate, ed evitarne la depressione. Le proposte non mancano – dalla musica allo studio, dalla lettura al giardinaggio -, ma noi cerchiamo di accompagnare la loro motivazione.

Con loro siamo impegnati nell’animazione delle messe, in colloqui, in momenti di ascolto; poi è nata l’idea di coinvolgerli nel cammino sinodale, ogni mercoledì pomeriggio».

«Lavoriamo in rete – continua – con la direzione carceraria, l’area educativo-trattamentale, la Caritas diocesana, gli altri uffici della nostra Pastorale, con le comunità terapeutiche, il Tribunale di Sorveglianza e le altre istituzioni locali».

Il nostro obiettivo è «rendere tangibile la presenza della Chiesa in questo luogo di sofferenza, creare qui una comunità cristiana misericordiosa, accogliente, che non giudichi ma dia fiducia. Una presenza di vicinanza, prossimità, speranza anche nei momenti più bui».

Diversi i progetti portati avanti dalla Diocesi, dal magazzino Caritas di beni di prima necessità, al laboratorio di uncinetto e bricolage per donne detenute, grazie ad alcuni volontari della Comunità missionaria di Villaregia, fino al progetto “Orti sociali in carcere”, insieme ad alcuni club del Rotary di Cagliari. Non manca l’attenzione fuori dal carcere con i progetti – portati avanti insieme alla Caritas diocesana – per gli affidati alle misure alternative ospitati, durante i permessi premio, nella Casa di accoglienza Leila Orrù – De Martini.

Inoltre, «sarà importante far sì che il cammino sinodale – conclude don Iiriti – possa avere una continuità nella comunità, facendo sì che essa sia pronta per accogliere il detenuto una volta scontata la pena, per ascoltare la sua testimonianza, far sì che non si senta solo. Per far ciò occorre creare una mentalità, facendo conoscere la realtà del carcere, il cammino percorso, e rendendo possibile il cambiamento».

(Testo e foto di Maria Chiara Cugusi)

Lanciano-Ortona / L’arte e la cultura per conoscere il territorio e le proprie radici

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Una rete di relazioni tra le varie istituzioni culturali ecclesiali e quelle civili, promuovendo l’accesso ai beni culturali locali soprattutto per i più giovani e abbattendo le barriere architettoniche che escludono chi è diversamente abile. L’arcidiocesi di Lanciano-Ortona è un cantiere aperto, brulicante di iniziative di vario genere, come ci racconta don Domenico Di Salvatore.

Una bella testimonianza pubblicata su unitineldono.it che racconta come la presenza di un gran numero di pellegrini ha mobilitato da tempo l’arcidiocesi di Lanciano-Ortona a compiere notevoli sforzi per garantire l’apertura degli edifici religiosi oltre ogni esigenza liturgica. E soprattutto a mantenere vivo il rapporto tra Chiesa e arte, rendendo fruibile il patrimonio storico, architettonico e librario.

Scopri di più qui.

Roma / SOS apprendimento: una parrocchia in prima linea

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La parrocchia romana di San Giovanni Battista de La Salle, quartiere Torrino, è diventata una risorsa imprescindibile per una cinquantina di ragazzi e ragazze, dai 6 ai 18 anni e per le loro famiglie. Il sabato mattina, infatti, gli spazi parrocchiali ospitano il Laboratorio Dsa (Diverse strategie di apprendimento), attivo dal 2019, a beneficio di ragazzi con qualche difficoltà cognitiva.

Il Laboratorio è nato grazie all’impegno di Eleonora Scacciapulli, di tanti volontari e del parroco don Francesco Zanoni. «Sono un avvocato e mi occupo da trent’anni di diritto minorile, ma soprattutto sono mamma di due ragazzi dislessici», racconta Scacciapulli. «Poco prima della pandemia, nel 2019 appunto, lanciai al parroco l’idea di aprire uno sportello per le famiglie che, come la mia, avevano dei ragazzi con disturbi dell’apprendimento».

Ciascuno «mette a disposizione e al servizio degli altri in maniera gratuita ciò che di buono ha, i suoi talenti», sottolinea il parroco don Francesco Zanoni. «È bello che il sabato mattina ci sia questo luogo di incontro, in cui sono protagonisti i ragazzi e le tante persone che offrono il proprio tempo e le proprie competenze». A guidare sia i giovani che gli adulti la celebre frase di san Francesco, che è un po’ il motto del Laboratorio Dsa: «Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile».

Per saperne di più www.unitineldono.it.

“Annunciate dai tetti”: una Chiesa in uscita anche grazie alla rete

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Annunciate dai tetti”, associazione fondata da don Mimmo Bruno insieme ad altri 6 soci nel marzo 2021, oggi conta 15 soci ed è un vero e proprio laboratorio multimediale che attraverso lo storytelling, cioè l’arte del racconto, contenuti grafici e brevi video, come i reel di Instagram, si occupa di promozione sociale attraverso i nuovi mezzi di comunicazione.

Su unitineldono.it tutti gli approfondimenti di questa bella esperienza nell’articolo di Giacomo Capodivento.

Apprezzato sia dalle terapiste che dai genitori che hanno parlato della quotidianità dei propri figli, il progetto ha dato voce alle loro storie entusiasmando tutti. “Mi sono emozionato ad ascoltare le storie narrate dai genitori, storie belle, divertenti, simpatiche, commoventi, una bomba di emozioni, raccontate in maniera alternativa un po’ come la vita dei bambini” ricorda Dario,  presidente della cooperativa “Casa di carta” a Trani (BT), che si occupa di disturbi cognitivi e in particolare dello spettro autistico.

È stata proprio l’associazione “Annunciate dai tetti” ad aprire il mondo del podcast alla “casa di Carta”.

Massimo Monzio Compagnoni all’Assemblea della Consulta Nazionale Aggregazioni Laicali

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Si è svolta lo scorso 27 maggio a Roma l’Assemblea Nazionale della Consulta delle Aggregazioni Laicali (CNAL). In pieno cammino sinodale, la Segretaria generale della CNAL – prof.ssa Maddalena Pievaioli – ha voluto significativamente invitare all’evento anche Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio Promozione della CEI, in linea con quella responsabilità di essere e sentirsi Chiesa in ascolto e in cammino.

Il responsabile nazionale ha fatto una panoramica sull’attuale situazione, citando i dati di una ricca ricerca su cosa pensano gli italiani della Chiesa, a testimonianza di come oggi, più che in passato, c’è la necessità ritrovarsi uniti, come figli di Dio, intorno al valore fondante della comunione ecclesiale.

Fin dall’inizio il sistema post concordatario di sostegno economico alla Chiesa è stato una scelta di libertà. Ma libertà vuol dire rischio, e necessità di conquistarsi i consensi. Ogni anno la Chiesa può contare su delle risorse economiche che non sono assicurate a priori. Infatti, sono legate alle libere scelte dei cittadini. Quindi la prima responsabilità, perché la Chiesa viva e operi anche attraverso queste risorse, è della Chiesa stessa.

Per questo è fondamentale il ruolo del mondo ecclesiale, e in particolare quello declinato nelle sue molteplici e diverse espressioni associative.

Ogni associazione, gruppo e movimento ecclesiale, oltre a dimostrare sul versante economico generosità, senso di comunione e di corresponsabilità, non deve perciò trascurare l’indispensabile opera di sensibilizzazione ed educazione verso tutta la comunità ecclesiale.

Il CAAtechismo di Prato per vincere la sfida dell’inclusione

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L’idea di un catechismo realizzato con la Comunicazione Aumentativa e Alternativa, è un segno di una nuova sensibilità della Chiesa verso la disabilità. Don Carlo Geraci, parroco di Santa Maria della Pietà a Prato e responsabile dell’Ufficio catechistico diocesano, ci racconta come è nata questa esperienza.

“Il nostro percorso di Caatechismo, noi lo chiamiamo così, non è pensato per i bambini e i ragazzi disabili, ma è rivolto a tutto il gruppo. Il suo obiettivo è includere, non escludere”. Don Carlo racconta così le radici del catechismo realizzato con la Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA), da qui il gioco di parole, che nel gennaio 2023 è arrivato al terzo volume, dedicato alla preparazione della Comunione. “L’idea è nata nel 2018 da un’esigenza riscontrata sul campo – ricorda il sacerdote – c’era un gruppo di genitori con bambini con bisogni comunicativi complessi che utilizzava la CAA per i loro figli e abbiamo pensato che fosse importante proporre qualcosa per tutti”.

Da questa esigenza e dallo sforzo di alcuni genitori e catechisti delle parrocchie della Resurrezione e di Sant’Ippolito in Piazzanese a Prato è nato il primo volume, dedicato all’iniziazione cristiana, pubblicato nell’ottobre 2018, a cui ne è seguito un secondo in preparazione del sacramento della Confessione. “Il percorso per la creazione del catechismo in CAA – spiega don Carlo – parte dai materiali della Conferenza Episcopale Italiana e da una riflessione sui contenuti, che sono gli stessi per tutti, ma con un linguaggio adattato all’età dei ragazzi e delle ragazze. Successivamente si passa alla trascrizione nella Comunicazione Aumentativa e Alternativa”. “La CAA – precisa don Geraci – è un linguaggio che viene utilizzato per persone con bisogni comunicativi complessi. Si basa su pittogrammi, che vengono creati con un programma, nel nostro caso  AraWord, completamente gratuito e libero da copyright”.

Una nuova possibilità di comunicazione, sulla quale è importante formarsi. “Non abbiamo fatto formazione a tappeto – dice il parroco – ma abbiamo organizzato incontri per dare gli strumenti di base. Quando si usa la CAA si lavora in gruppo, con sacerdoti, catechisti e genitori”.

La nostra catechesi – spiega don Carlo – è un’occasione di crescita per il gruppo. Aiuta a sperimentare l’accoglienza e dà vita spesso a dei percorsi bellissimi”. L’idea di un catechismo realizzato con la Comunicazione Aumentativa e Alternativa, è un altro segno di una nuova sensibilità della Chiesa verso la disabilità. “In passato– racconta il sacerdote toscano – qualcuno pensava che per ragioni diverse per le persone con disabilità non fosse necessaria una catechesi. Ora invece è stato creato un ufficio apposito per loro. In passato era come se ci fosse una sorta di gap, c’erano i ragazzi con disabilità a scuola, ma non erano in molti quelli che poi frequentavano l’oratorio. Ora si sta lavorando per colmare questo divario”.

La strada del catechismo in CAA realizzato dalla Diocesi di Prato, i cui materiali sono utilizzati in parrocchie di tutta Italia, però non è ancora completo. “In futuro – conclude don Carlo Geraci – vogliamo concludere il percorso, con un volume che porti fino alla Cresima”. Nel lavoro di don Carlo e dei catechisti sono coinvolti alcuni genitori di figli con bisogni comunicativi complessi, come Sara Meoni, 43 anni, mamma di Matteo, ragazzo di 13 anni e mezzo. “Ho cominciato – ricorda la donna, una delle componenti dell’équipe diocesana che si occupa di redigere il Caatechismo– perché mio figlio iniziava il catechismo e non esisteva nessun supporto in CAA per lui. Dato che già adattavo i materiali per la scuola, ho cominciato ad adattare i testi della catechesi. Un giorno don Carlo ha visto il nostro quaderno con i pittogrammi e mi ha detto, “perché lo devi fare tutto da sola?”. E ha proposto di fare qualcosa di più strutturato. Siamo partiti da qui”. “Io sono stata fortunata – aggiunge la contabile- perché ero già capace. Quando abbiamo scoperto il ritardo cognitivo di Matteo la logopedista mi ha parlato dell’esistenza della CAA e ho frequentato corsi e master. Ma ci sono tante persone che da sole non sono in grado o non hanno il tempo di fare questo lavoro, con i figli che magari non frequentano il catechismo anche per questa ragione”.

Trasporre un testo in Comunicazione Aumentativa e Alternativa infatti è un percorso lungo, a tratti faticoso. “L’aspetto più difficile – racconta Sara – è semplificare. È un linguaggio simbolico, dunque è per forza riduttivo e poi non si può tradurre tutto, anche per ragioni di comodità e spazio”.

“Personalmente lui ne ha beneficiato, ma non appieno– dice Sara che è mamma anche di Anna, 8 anni – Matteo ha ricevuto la Cresima quest’anno e i materiali del catechismo in CAA su quella parte del percorso non esistevano ancora, così come avevo già fatto, li ho tradotti anche io. La Comunicazione Aumentativa e Alternativa di certo per lui è stata fondamentale per capire e farsi capire, soprattutto perché i suoi compagni del catechismo non sono gli stessi della scuola, dove tutti lo conoscono”. Un uso, quella della CAA, che ha contribuito ad aiutare Matteo anche in altri momenti. “Conosce e segue ogni momento della Messa – spiega la 43enne – e ultimamente per le celebrazioni non stiamo più usando il nostro quaderno con i pittogrammi”. Il successo dei materiali in CAA sono una soddisfazione anche per Sara e per chi con lei collabora alla creazione del Caatechismo. “I riconoscimenti che ci stanno arrivando – conclude la donna – sono una gratificazione. Ci chiamano per fare incontri, sia parrocchie ma anche associazioni che si occupano di autismo. E per me è bello dare una mano, perché so cosa si prova a riuscire ad aiutare proprio figlio”. Un cammino, quella della Diocesi di Prato, dove catechismo fa rima con inclusione.

(di Roberto Brambilla / foto gentilmente concesse dalla diocesi di Prato per unitineldono.it)

8xmille / Mons. Baturi: “Non è una concessione ma una scelta di libertà per il bene comune”

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In questo periodo di dichiarazione dei redditi e destinazione dell’8xmille, Riccardo Benotti (Agenzia Sir) ha incontrato, il Segretario Generale della CEI, Mons. Giuseppe Baturi.

Eccellenza, perché l’ordinamento italiano prevede che una quota minima delle tasse possa essere destinata alla Chiesa italiana?
In tutti gli ordinamenti occidentali, ed europei in particolare, esistono forme di finanziamento indirizzate non soltanto alla Chiesa cattolica ma ad altre Confessioni religiose. In Italia non si tratta di un semplice finanziamento, ma della destinazione di una parte delle tasse sul reddito per finalità volte a soddisfare interessi primari della persona, che sono costituzionalmente garantiti e prefissati dalla legge. Il raggiungimento di tali interessi è affidato anche alla Chiesa. Non è una forma di finanziamento alla Chiesa cattolica, ma una modalità libera attraverso la quale i cittadini decidono chi debba soddisfare i fini indicati dalla legge. Parlare di altro è una distorsione gravissima: la Chiesa non può destinare le somme a proprio piacimento, ma ci sono fini determinati.

Quali?
Culto e pastorale, sostentamento del clero e interventi caritativi per la comunità nazionale e per il Terzo Mondo. Non possiamo utilizzare quei soldi per altri scopi e, quindi, non è un finanziamento indeterminato e vago alla Chiesa, ma è un modo di affidare alle Confessioni religiose la possibilità di raggiungere certi fini secondo le scelte libere dei contribuenti.

Come nasce l’8xmille?
Nasce a seguito della revisione degli accordi concordatari nel 1984, con la legge 222/1985. L’intenzione era quella di sostituire due fonti di sostentamento a favore della Chiesa cattolica che erano presenti nel bilancio dello Stato, indirizzate all’edilizia di culto e alla congrua per i parroci. Si trattava di un sistema insoddisfacente, che presentava gravi limiti di giustizia ed equità. Si è proceduto, quindi, a una revisione globale affidandosi alla scelta dei contribuenti italiani. Che in quel momento, bisogna ricordarlo, neanche si sapeva in che misura avrebbero deciso di partecipare. È stata una scelta di libertà per lo Stato e non di convenienza economica. Una scelta di democrazia, di una laicità che non esclude il fatto religioso ma lo sostiene.

Qual è la situazione in altri Paesi?
Anche altri ordinamenti prevedono forme di sostentamento ma quella italiana, è opportuno precisarlo, è la più controllata. Nelle aree germaniche, ad esempio, lo Stato segue semplicemente le disposizioni ecclesiastiche sulle tasse. Invece in Italia non c’è alcun aggravio della posizione fiscale dei cittadini per il raggiungimento di scopi che sono a vantaggio dell’intera collettività.

Talvolta l’8xmille viene presentato come una concessione benevola dello Stato alla Chiesa italiana…
Lo Stato ha una vocazione positiva di solidarietà e di sussidiarietà. Per garantire ciò, affida alla Chiesa le risorse necessarie alla soddisfazione di tali interessi. Una delle novità introdotte dal sistema dell’8xmille è quella di avere consentito un vantaggio per tutti. Anche le Confessioni religiose possono compiere attività di carità e di prossimità a favore della collettività e dei Paesi del terzo mondo. La Chiesa italiana destina circa un terzo delle risorse per andare incontro ai bisogni delle persone indigenti, dei migranti, di chi cerca una casa, di chi ha bisogno di ambulatori per curarsi, dei più poveri. Parliamo di oltre 200 milioni di euro all’anno.

C’è anche una spinta per la promozione di iniziative del terzo settore?
Certamente. I dati confermano che la spinta dell’8xmille per la Chiesa e per le altre Confessioni religiose è stato un volano importante per incrementare le attività di welfare comunitario e solidale. L’espansione di questo settore ha garantito una possibilità di contrasto al degrado sociale. E inoltre ha sollecitato una maggiore creatività e responsabilità dei cittadini: è uno strumento di partecipazione importantissimo. L’incremento delle opere sociali e sanitarie della Chiesa è avvenuto in concomitanza con l’istituzione dell’8xmille. E questo è un guadagno non soltanto per i beneficiari, ma anche per chi vive la propria responsabilità sociale in modo associato, creando opere, fornendo servizi, partecipando alla costruzione del bene comune.

Il bene non è solo di chi lo riceve, ma anche di chi lo fa?
Grazie all’8xmille consentiamo a una fascia importante di operatori di aiutare chi è in difficoltà e di attivare nuovi servizi. È un bene anche per chi lo compie. E non dimentichiamo che il welfare in Italia è determinato anche da questa rete comunitaria e solidale. L’8xmille è stato il primo strumento di democrazia fiscale che consente al cittadino di decidere la destinazione di parte del proprio reddito destinata all’erario.

Perché è importante firmare?
Bisogna riscoprire i valori fondamentali dell’8xmille: il bene comune, la solidarietà, la partecipazione dei credenti, il sostegno economico delle Chiese nella loro missione. Il tema della partecipazione all’8xmille coincide con la diffusione dei suoi valori, della comprensione dei suoi altissimi valori, che ha fatto sì che anche alcuni ordinamenti dell’Est Europa, all’indomani della caduta del muro di Berlino, si siano ispirati all’Italia. Non esiste un’anomalia italiana, anzi il nostro sistema è considerato un modello da altri ordinamenti. Ma serve informazione, è necessario comprendere il valore che rappresenta per tutti – credenti e non – in termini di solidarietà e democrazia.

Molti progetti dell’8xmille sono portati avanti anche all’estero.
La legge affida alla Conferenza episcopale italiana la possibilità di destinare parte della carità anche per interventi a favore dei Paesi indigenti. Negli ultimi anni abbiamo sempre incrementato questa quota, oggi pari a 80 milioni di euro all’anno. In altre parole: con queste risorse finanziamo oltre 700 progetti che vanno a favore dei Paesi con più basso Pil, in accordo alla lista redatta dall’Ocse.

Lei è stato in visita recentemente in Siria e Libano. Che realtà ha trovato?
Ho visto cose straordinarie: progetti sanitari, educativi e di contrasto alla povertà. Ho visto prendersi cura delle persone in un contesto di guerra, aggravato dal terremoto e dalla crisi finanziaria. L’8xmille della Chiesa cattolica ha attivato energie locali in termini di volontariato e di corresponsabilità. Per dirla in altre parole: ha salvato vite umane. Adesso i poveri possono farsi curare, in una situazione in cui altrimenti sarebbe stato impossibile. Ad Aleppo le mense forniscono ai poveri 1.500 pasti all’anno.
L’8xmille fa la differenza tra vivere e morire. Un lavoro ben fatto a Roma salva vite in tutto il mondo. La metà dei progetti è finanziata in Africa, in una delle terre più interessate dalle ricadute economiche della guerra in Ucraina a causa del blocco o del rallentamento del flusso dei cereali. È in atto un’enorme opera di bene spesso nascosta, anche per prevenire i flussi migratori che mettono a repentaglio la vita di tante persone.

Eppure, non mancano le polemiche che ciclicamente tornano…
L’8xmille non è a vantaggio della Chiesa cattolica. È a vantaggio, semmai, del raggiungimento dei diritti costituzionalmente garantiti e interessa tutti. Dispiace per le polemiche che vengono condotte sulla pelle della povera gente, senza guardare gli effetti delle risorse messe a disposizione. Si tende a suscitare emozioni, perdendo di vista la realtà. Invito tutti a passare con noi mezza giornata per verificare il contributo dell’8xmille a favore di tanta gente che altrimenti non avrebbe nessun aiuto. Venite a vedere.

Festival delle comunicazioni: Catania si prepara a “parlare col cuore”

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La XVIII edizione della manifestazione organizzata dalle Paoline e dai Paolini per la LVII Giornata delle comunicazioni sociali si svolgerà nella città siciliana dal 14 al 21 maggio, ma già da questi giorni sono in corso i primi eventi. Il Festival, che ogni anno si svolge in una diversa diocesi italiana, “con l’intento di coinvolgere in maniera attiva tutta la Chiesa e far emergere le tante valide risorse del territorio”, avrà come filo conduttore “Parlare col cuore e farlo con mitezza”, il tema scelto dal Papa per la giornata di quest’anno.

L’8 maggio ospite dell’evento anche il responsabile del Servizio Promozione della CEI Massimo Monzio Compagnoni nello spazio dedicato al tema “Dal Cuore alle mani – Condividere i bisogni per condividere il senso della vita”, dedicato agli attori del terzo settore della Caritas e movimenti ecclesiali. Con lui anche rappresentanti del banco alimentare della Caritas diocesana e di S. Egidio. Un’occasione preziosa per ricordare l’importanza di destinare l’8xmille alla Chiesa cattolica grazie ad un gesto semplice, come una firma che non costa nulla in più, ma che fa bene, a noi e agli altri.

Ricordiamo che il Festival della Comunicazione si muoverà alla ricerca della Parola e delle parole per creare relazioni, promuovere la cultura del territorio, raccontare il bene grazie a 40 eventi, tutti gratuiti, divisi in 20 giorni (cinema, musica, teatro, arte, presentazione di libri, conferenze tematiche, attività laboratoriali) e ideati per ogni fascia di età, a cui interverranno nomi noti della comunicazione, scrittori, giornalisti, relatori, musicisti, cantanti, esperti, studiosi di fama nazionale e regionale per “dare concretezza all’invito del Papa “a cercare e a dire la verità e a farlo con carità”. A conclusione dell’evento è in programma la Celebrazione Eucaristica in Cattedrale, che sarà presieduta da Mons. Luigi Renna, Arcivescovo di Catania, domenica 21 maggio 2023.

Il Festival permetterà un articolato viaggio dall’ascolto alla parola attraverso diversi linguaggi: dal giornalismo ai libri, dalle arti grafiche alla fotografia, dalla musica al teatro, dal digitale ai laboratori manuali. La manifestazione intende offrire significative occasioni di incontro e di approfondimento su tematiche sociali, culturali, spirituali e della comunicazione al fine di far riflettere sui tanti spunti e sull’attualità del Messaggio del Santo Padre.

Altre notizie sul programma degli eventi è disponibile sul sito della Settimana della Comunicazione, nella sezione “Eventi”.

Radio Vaticana / Mons. Prevost: “Il Vescovo è un pastore vicino al popolo, non un manager”

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Vi segnaliamo l’intervista che Andrea Tornielli (direttore editoriale del Dicastero per la comunicazione della santa sede) ha fatto per i media vaticani al Prefetto del Dicastero per il Vescovi Monsignor Robert Francis Prevost, tracciando un identikit del “Vescovo” per il tempo in cui viviamo.

Alla domanda “Quanto incidono nella vita dei Vescovi i problemi economici?” Monsignor Robert Francis Prevost (il frate agostiniano che Papa Francesco ha scelto per succedere al cardinale Marc Ouellet) ha risposto:

Al vescovo è chiesto anche di essere un buon amministratore o almeno la capacità di trovare un buon amministratore che lo aiuti. Il Papa ci ha detto di volere una Chiesa povera e per i poveri. Ci sono casi in cui le strutture e infrastrutture di un tempo non servono più e si fa fatica a mantenerle. Allo stesso tempo, anche nei luoghi dove ho lavorato, la Chiesa è responsabile di istituzioni educative e sanitarie che offrono servizi fondamentali al popolo, perché molte volte lo Stato non riesce a garantirli.

Personalmente non sono dell’opinione che la Chiesa debba vendere tutto e “solo” predicare il Vangelo nelle strade. Si tratta comunque di una responsabilità molto grande, non ci sono risposte univoche. C’è da promuovere maggiormente l’aiuto fraterno fra le Chiese locali. Di fronte alle necessità di mantenere in vita delle strutture di servizio con le entrate che non sono più quelle di una volta, il Vescovo deve essere molto pratico. Le monache di clausura sempre dicono: ‘Bisogna avere fiducia e affidare tutto alla Provvidenza Divina, perché si troverà il modo per rispondere’. L’importante è anche non dimenticarsi mai della dimensione spirituale della nostra vocazione. Altrimenti si rischia di diventare dei manager e ragionare come manager. Qualche volta succede”.