vai all’articolo
L’Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve, e delegato per il Sovvenire della Regione Umbria, Mons. Ivan Maffeis, è stato tra i metropoliti ai quali nella Basilica Vaticana, nella celebrazione della solennità dei santi Pietro e Paolo, è stato concesso il paramento liturgico simbolo dello speciale legame dei Vescovi, nell’esercizio della loro giurisdizione, con il Pontefice: “Un dono che accolgo come segno di Chiesa, con un respiro di riconoscenza e responsabilità”.
A Vatican News, nell’intervista a cura di Tiziana Campisi, Monsignor Maffeis sottolinea che il pallio è un richiamo alla comunione sia per i pastori che per le comunità dei fedeli. Tracciando, poi, un bilancio del suo primo anno nell’Arcidiocesi umbra, evidenzia l’impegno della Caritas nell’accoglienza degli extracomunitari e di fronte alle necessità dei più bisognosi e descrive le difficoltà che tante persone stanno affrontando a causa dei danni provocati dai terremoti del 2016 e 2017 e dall’ultimo sisma del marzo scorso.
Qual è la realtà sociale odierna della sua Arcidiocesi?
Io ho iniziato a girare l’Arcidiocesi mettendomi in ascolto dei sacerdoti, innanzitutto, e quindi delle comunità, degli animatori delle comunità. La realtà sociale, per certi versi, vive di rapporti stretti con le istituzioni. Ho trovato un po’ ovunque una grande disponibilità, una grande attenzione per il servizio della Chiesa e una buona disponibilità alla collaborazione. Nel concreto, questo si traduce in un impegno fattivo della nostra Caritas diocesana a lavorare sui temi dell’accoglienza, quindi del far posto, del far spazio a chi arriva da altri mondi in cerca di una speranza di vita, e una grande attenzione, anche, alle tante povertà, materiali e non solo, che sono presenti sul territorio. Trovo un po’ ovunque dei centri d’ascolto, le parrocchie sono vive. I centri di ascolto vivono in stretto rapporto con gli empori della Caritas, con i servizi della Caritas e quindi con una Chiesa che cerca, per quanto possibile, di essere all’altezza delle tante domande che attraversano la società, con un’alleanza sempre più forte, nel rispetto dei ruoli, con le istituzioni civili.
Quali sono i bisogni più urgenti della Chiesa di Perugia – Città della Pieve?
Dopo avere accennato alla carità, credo che il bisogno più urgente sia quello di uomini di Dio. Uomini di Dio nei preti, innanzitutto, quindi testimoni che aiutino non solo a riconoscere il Signore, ma anche ad accoglierlo, a seguirlo. Uomini di Dio nel laicato, nella vita religiosa. Per certi versi i segni di crisi, della secolarizzazione, che attraversano la società sono anche i segni di crisi della secolarizzazione che attraversano le nostre comunità, la nostra Chiesa. Credo che oggi – nella misura in cui riusciamo a custodire il tesoro di una tradizione e al contempo a cercare che non sia semplicemente qualche cosa di ieri, ma che cerca di interpretare questo tempo e a vivere con semplicità, con disponibilità, il Vangelo – ci siano tante opportunità di incontro con un mondo che per certi versi è lontano e per altri non aspetta che trovare una proposta e una testimonianza di fede e di speranza.
L’Umbria soffre ancora le ferite provocate dalle scosse sismiche del 2016 e 2017. In che modo la Chiesa è al fianco della gente?
Noi abbiamo avuto qui, in arcidiocesi, un terremoto, lo scorso 9 marzo, molto limitato, che non ha fatto vittime e che quindi è scomparso subito dai media, ma in alcune comunità ci sono persone prive della propria casa, della propria abitazione, del proprio negozio, delle proprie aziende e anche delle chiese. Ci sono alcune comunità che hanno le chiese chiuse ormai da mesi e con i sacerdoti noi cerchiamo di renderci presenti per accompagnare anche questa stagione non facile. Alcune famiglie sono ospitate dall’Arcidiocesi e per gli altri si cerca, per quanto possibile, di essere un segno di prossimità sul territorio, andando a visitare, andando a celebrare e andando ad organizzare strutture per lo più all’aperto o comunque provvisorie, in attesa di poter metter mano a una riapertura anche delle chiese, che sarà un processo molto lungo. Allora, da una parte stiamo cercando di chiedere un contributo, almeno minimo, alla Conferenza episcopale italiana per riaprire una o due chiese. La chiesa in un paese rappresenta sicuramente il luogo del culto, ma rappresenta anche un luogo di comunità, in cui ritrovarsi, in cui vivere una dimensione più ampia. È un cammino che stiamo cercando di fare anche con le istituzioni, perché, se da una parte è urgente riaprire, simbolicamente, almeno qualche chiesa, dall’altra è altrettanto importante, se non prioritario, che le persone siano messe nelle condizioni di poter metter mano alle proprie abitazioni o all’azienda che magari è stata danneggiata con gravi ripercussioni sul mondo del lavoro.
Qui l’intervista completa.