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Uniti nel Dono / Gli angeli di Campobasso, perché nessuno sia solo

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Il signor Mario è anziano, ma non ricorda esattamente quanti anni abbia. Ha problemi di coagulazione del sangue e le sue mani sono sempre livide. «Avete una pomata?», ha chiesto una volta a una volontaria. E la crema è stata presa apposta per lui. La signora Rosa, invece, non aveva mai visto il mare e così un’altra volontaria ha esaudito il suo desiderio: l’ha portata in spiaggia, in gita insieme ad altri anziani. Adam è arrivato dalla Polonia, si appoggiava a dormire di qua e di là, a una volta da un conoscente, una volta in una roulotte. Aveva problemi di alcolismo ma, grazie al supporto dei volontari, è riuscito a uscirne e addirittura a prendere un piccolo appartamento in affitto. I nomi sono di fantasia, ma le loro storie no. Seppure diverse, tutte raccontano la stessa cosa: queste persone bisognose non hanno incontrato semplici volontari, ma dei veri e propri “angeli” che si sono presi cura di loro. Si chiama infatti “Casa degli Angeli”, il centro servizi della Caritas dell’arcidiocesi di Campobasso – Bojano frequentata da Mario, Rosa, Adam e tanti altri come loro.

Inaugurata da Papa Francesco

A inaugurarla, il 5 luglio del 2014, fu Papa Francesco. Era presente Maria Antonietta Evangelista, tra i responsabili della mensa della Casa degli Angeli, che ospita anche un dormitorio e un emporio solidale. In cantiere pure l’apertura un ambulatorio sanitario. «La mensa è attiva tutti i giorni per il turno del pranzo – racconta Evangelista –. I volontari arrivano alle 9 e vanno via attorno alle 14. Il servizio comprende la preparazione dei pasti, la somministrazione e la pulizia. I gruppi di volontari cambiano attraverso una turnazione mensile. Chi viene a mangiare alla mensa non può fare la spesa all’emporio, e viceversa. In questo modo riusciamo a garantire aiuti per più persone». Ai tavoli della mensa siedono, per la maggior parte, italiani. Anziani che non sono in grado di prepararsi da mangiare o di fare la spesa, senza fissa dimora, uomini e donne divorziati che non sono riusciti a riprendersi. «C’è un po’ di tutto – confessa don Franco D’Onofrio, direttore della Caritas dell’arcidiocesi di Campobasso-Bojano –. Gli immigrati prima erano più numerosi, ma adesso ce ne sono di meno».
Frequentano di più l’emporio, dove possono fare la spesa e poi cucinare a casa propria. «Tanti sono i giovani argentini – rileva il sacerdote –. C’è stata una sorta di immigrazione di ritorno: i nonni di questi giovani dal Molise sono partiti per andare a cercare fortuna in Sud America e adesso, a causa della crisi economica, i loro pronipoti stanno tornando in Italia. Li aiutiamo molto anche per i documenti».

Cibo per il corpo e per l’anima

Nella Casa degli Angeli, insomma, il cibo non è la portata principale. «Cerchiamo di mettere in pratica quello che ci dice don Franco – sottolinea Maria Antonietta –: dar da mangiare non solo al corpo ma anche allo spirito, chiacchierare con i bisognosi, intrattenersi con loro, capire come stanno vivendo in questo momento». A tanti ospiti, ad esempio, viene preparato anche un panino da portare via, per mangiarlo a cena.

Piccoli gesti di attenzione che possono fare la differenza. Ne è convinto don Franco D’Onofrio, che guida la Caritas dell’arcidiocesi da diciannove anni. «Oltre i normali servizi che svolgevamo, ci siamo resi conto che serviva un punto, una sorta di “sos sociale”, che fosse caratterizzato dalla pedagogia dei fatti. Un luogo dove fare e vivere il servizio» – ricorda. Così è nata la Casa degli Angeli, da «un vecchio asilo dismesso che il Comune ci ha dato in comodato d’uso gratuito». Grazie ai fondi dell’8xmille, è stato «reso fruibile con mensa, dormitorio, miniappartamenti, docce, servizio lavanderia e anche l’emporio – racconta –. Attualmente stiamo lavorando con il Comune per aprire anche un presidio sanitario, dove dei professionisti del settore offriranno la propria opera gratuitamente». Perché la Casa degli Angeli «si mantiene solo grazie ai volontari: prima del Covid circa 570 volontari – prosegue D’Onofrio –; durante il Covid, invece, facevamo soltanto l’asporto ed eravamo pochissimi, mentre ora ci sono circa 300 volontari coinvolti. La Casa si mantiene anche grazie alla vicinanza della città, perché le imprese, le aziende e le istituzioni ci sono molto vicine e ci aiutano con donazioni e altro».

(unitineldono.it, articolo di Giulia Rocchi – foto gentilmente concessa da don Franco D’Onofrio)

8xmille / Caritas Pozzuoli, con “Liberi di crescere” sostenute le attività a favore di minori in situazioni di fragilità sociale

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È stato pubblicato dalla Caritas diocesana di Pozzuoli il report del primo anno del progetto “Liberi di crescere”, realizzato con l’8xmille alla Chiesa cattolica (in allegato). Il documento descrive le molteplici attività volte a sostenere minori in situazioni di fragilità sociale nel territorio della diocesi di Pozzuoli. Il progetto si realizza in due località: Licola Mare nell’oratorio delle suore Figlie della presentazione di Maria Santissima al Tempio e a Quarto, nel bene confiscato Casa Mehari.

Il progetto della Caritas diocesana ha rinforzato l’azione delle suore a Licola con personale qualificato per lavorare insieme con i genitori e per creare un ponte con la scuola. Le attività sono: giochi e socializzazione, sostegno scolastico, laboratori di musicoterapia, arte, teatro, gioco libero, lettura e riciclo. Le famiglie sono state coinvolte con occasioni di incontro, ascolto, informazione e sensibilizzazione, supporto alla genitorialità e laboratori genitori-figli. Non sono mancate le uscite didattiche per la conoscenza dei Campi Flegrei e di Napoli.

A Quarto le attività di “Liberi di crescere” si sono svolte a Casa Mehari. In questa sede gli obiettivi sono la formazione, l’autonomia e l’inclusione di ragazzi fragili e diversamente abili. Centrale è stato il laboratorio di ceramica che, grazie a professionisti, sta diventando un luogo di socializzazione, creatività e conoscenza a cui si affianca lo sviluppo delle attività manuali, le quali assumono anche una valenza terapeutica. Nella struttura sono presenti tre seminaristi che stanno vivendo la loro esperienza a contatto con persone con disabilità.

8xmille per lo sviluppo dei popoli / Con i volontari, a servizio di tutti

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Sono 458 i progetti che, nel 2024, hanno coinvolto migliaia di volontari in 68 Paesi. Con i fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica, infatti, sono state finanziate opere per oltre 83 milioni di euro.

In occasione del Giubileo del mondo del volontariato, tenutosi l’8 e il 9 marzo, il Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, ha fatto il punto su quanto le Diocesi, le Congregazioni religiose e le realtà ecclesiali riescono a fare, nei diversi contesti, anche grazie al supporto dei volontari. In Italia sono 4,6 milioni le persone che si impegnano per gli altri, oltre 16 milioni in tutta Europa e circa 1 persona su sette in tutto il mondo. Una vera e propria galassia solidale che, insieme alle comunità locali, alle religiose e ai preti missionari tessono relazioni, incrociano volti, scoprono talenti immensi e storie che arricchiscono e creano ponti con le nostre comunità, anche a nome di chi non può partire, ma rimane in comunione soprattutto con il dono della preghiera. Così, insieme, si continua a costruire speranza.

“Porterò sempre con me ogni sorriso, ogni nome, ogni storia, ogni momento vissuto. Il volontariato non è solo un’esperienza temporanea, ma una lezione di vita. Ho capito che la vera ricchezza sta nelle relazioni che costruiamo, nei segni che lasciamo nel cuore degli altri e in quelli che restano nei nostri”, spiega Cristopher, volontario in Brasile, con la Congregazione delle Suore Missionarie Scalabriniane, in prima linea per tutelare i diritti di chi è costretto a lasciare la propria casa, offrendo percorsi di integrazione e opportunità di crescita. Uno dei volti che Cristopher non dimenticherà è quello di Fatima, una madre venezuelana che nel 2018 ha lasciato il proprio Paese per garantire un futuro migliore ai suoi figli. Il viaggio fino a Roraima, nel nord del Brasile, è stato lungo e faticoso. Grazie alle suore è riuscita ad arrivare a San Paolo, dove ha trovato un’opportunità per ricominciare. Si è rimboccata le maniche ed è riuscita a superare le difficoltà dell’adattarsi a una realtà completamente nuova. Nei momenti di sconforto, la resilienza di Fátima e il sostegno della comunità sono stati fondamentali. “Ricordo ancora – aggiunge Cristopher – le sue parole pronunciate con determinazione: ‘Non posso permettere che la paura ci faccia tornare indietro. Ho lasciato tutto per i miei figli e andrò avanti’. Parole che mi hanno segnato profondamente. Ho compreso che il volontariato non è solo aiuto pratico, ma è ascolto, presenza, condivisione. Il senso della mia esperienza è proprio questo: essere disposto ad ascoltare, a mettermi nei panni dell’altro, a camminare insieme. A volte, il gesto più significativo è la semplice presenza: uno sguardo che trasmette fiducia, un ascolto sincero, un sorriso che dona speranza”.

Azioni concrete che trasformano le vite di chi è aiutato e di chi aiuta. Come è accaduto a Ibrahim e Stephan, sfollati da Idlib e accolti dai frati francescani a Latakia, in Siria. “Vengo – racconta – dal villaggio di Al Ghassanieh a Idlib, ho 26 anni e studio legge. Io e la mia famiglia siamo stati sfollati due volte nel 2012, fino a quando non siamo arrivati a Latakia. Sono stati giorni molto difficili, ma grazie ai frati siamo riusciti a superarli. Ora sono volontario, da quando il terremoto ha colpito Latakia il 6 febbraio 2023. Sono felice di poter restituire qualcosa del tanto che ho ricevuto e mi rende felice alleviare la sofferenza di altre persone che si sentono tristi e senza speranza, proprio come lo ero io”.  “Anche io oggi sono volontario – aggiunge Stephan – e mi occupo di scattare foto, inserire dati e fare visite sul campo. Ho 20 anni e studio scienze informatiche. Ricordo che, quando siamo arrivati a Latakia, eravamo persone disorientate in una nuova comunità, ma subito ci hanno accolto e ci siamo sentiti parte di una famiglia. Mi sento molto felice quando aiuto le persone, anche con piccole cose, cercando di regalare qualche sorriso”.

Calabria / Sintesi finale dell’incontro formativo sul “Sovvenire” per seminaristi e giovani preti

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Un prete libero per una Chiesa povera è stato il tema dell’incontro di formazione promosso dalla Commissione Sovvenire della Conferenza episcopale calabra rivolto ai seminaristi del IV, V e VI anno e ai sacerdoti ordinati negli ultimi cinque anni, svoltosi il 7 e 8 marzo a Catanzaro.

Il convegno, aperto dai saluti di don Mario Spinocchio, rettore del Seminario San Pio X che ha ospitato i lavori, è nato dall’esigenza, come spiegato da Monsignor Stefano Rega, Vescovo Cec del Sovvenire, “di approfondire le tematiche relative al sostentamento del clero” e di come, poi, Sovvenire tende a rispondere “alle necessità della Chiesa”. Monsignor Rega ha quindi parlato della necessità di “uno stile di vita che susciti collaborazione nei fedeli per vivere il nostro ministero con credibilità”. Da qui la necessità di far comprendere ai giovani sacerdoti che questo sostegno è frutto di un meccanismo regolato dal Concordato tra la Chiesa in Italia e lo Stato. Possiamo dare perché riceviamo – ha concluso – e non dobbiamo avere paura o vergogna di chiedere perché non chiediamo per noi ma chiediamo per la Chiesa, per la comunità”. Ed in questo contesto, bisogna “avere uno sguardo nuovo e profetico” divenendo importante “il rispetto per quello che riceviamo che non è personale, ma è per il nostro ministero, la nostra missione, il nostro servizio” in quanto “la Chiesa ci sostiene e ci accompagna” in questo.

Di “corresponsabilità e trasparenza nella gestione delle comunità” ha invece parlato don Claudio Francesconi economo della CEI, secondo il quale “non si può chiedere corresponsabilità alle persone se non c’è trasparenza” invitando a “fare della gestione economica un atto di missione e comunione” e in quanto “luogo testimoniale non si può pensare che la gestione delle risorse non ci riguarda”. L’8xmille, per don Claudio, altro non è che “uno strumento di democrazia fiscale, come lo sono anche il 5xmille e il 2xmille”.

A fare una sorta di excursus del sistema di sostentamento al clero, di cui quest’anno ricorre il 40/mo della sua istituzione, è stato il direttore generale dell’Istituto Centrale Sostentamento Clero, Claudio Malizia, che ha approfondito il funzionamento del sistema di sostegno al clero, evidenziando come questo modello garantisca equità e stabilità ai sacerdoti nel loro ministero.

Presente all’incontro anche Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio Promozione Sostegno Economico della CEI, che ha spiegato quelle che sono le finalità del servizio SPSE, sollecitando tutti ad “educare le comunità al dono” non perdendo di vista “la trasparenza che deve essere qualitativa e quantitativa” e ad essere “coerenti con la testimonianza e i principi del Vangelo” perché “essere Chiesa cattolica vuol dire fare la differenza”.

Nel corso della seconda giornata, prima dei laboratori pastorali le cui finalità sono state spiegate da Letizia Franchellucci, addetta alla segreteria, amministrazione e sviluppo dei progetti sul territorio, ci sono stati i contributi video di Monsignor Giuseppe Baturi, Segretario Generale della CEI; Monsignor Erio Castellucci, Vicepresidente della CEI; Monsignor Domenico Pompili, presidente della Commissione Episcopale Cultura e Comunicazioni Sociali.

Ad introdurre i video e avviare la riflessione con i seminaristi e i giovani sacerdoti, don Enrico Garbuio, Assistente Pastorale e Spirituale di Sovvenire, il quale ha ricordato ai presenti che si è “nel tempo della conversione, il cui luogo privilegiato è la vita, la quotidianità. Il denaro al servizio della comunità – ha concluso – è grazia, ma diventa sterco del diavolo nel momento in cui lo tengo solo per me”.

Monsignor Baturi, nel ripercorrere i 40 anni di storia del sistema di finanziamento della Chiesa cattolica, ha sollecitato una “partecipazione attiva” per “poter condividere fino in fondo questi valori e farsi parte diligente affinché vengano compresi da chi, con atti semplici, può aiutare la Chiesa a realizzare la propria missione in Italia e nei Paesi che guardano a noi con fiducia”, non perdendo di vista i valori che devono diventare “motivo di riflessione e di educazione per i seminaristi, il clero e tutto il popolo cristiano, perché questo è un modo concreto in cui la comunità può farsi corresponsabile della missione della Chiesa, affinché si possa continuare a fare del bene a tanti”.

Dal canto suo, Monsignor Castellucci partendo dall’ auspicio di papa Francesco a pochi giorni dalla sua elezione “Come vorrei una Chiesa povera per i poveri“, ha rimarcato che “il sostentamento del clero non deve essere un privilegio, ma uno strumento per la missione evangelica che si realizza nella sobrietà, nella condivisione e nel riscatto”. Là dove “povertà” non deve necessariamente significare “rinunce clamorose, ma utilizzare i beni per chi ha bisogno. Il Papa ci chiede di essere pellegrini di speranza. Abbiamo il dovere di gestire i beni con responsabilità, senza sprechi, perché il clero possa dedicarsi pienamente alla missione senza preoccupazioni materiali indebite. Se non lo facciamo, le nostre parole saranno dette al vento. Dobbiamo essere fedeli al Vangelo, che ci chiede di essere una Chiesa povera per i poveri”.

L’importanza della comunicazione per Sovvenire è stata sottolineata da Monsignor Pompili, che ha fatto notare che non si tratta di “pubblicità ma di testimonianza. Lo stile adottato negli spot dell’8xmille – ha aggiunto – ha il sapore del reportage, mostrando concretamente il bene che viene fatto. È essenziale che la Chiesa comunichi in modo chiaro e trasparente il senso di questo sistema, facendo comprendere che l’8xmille non è un privilegio, ma un’opportunità per sostenere la missione della Chiesa a servizio di tutti”. Per Monsignor Pompili, infine, “la strategia del Sovvenire ha cinque obiettivi: farsi capire, affrontare la crisi, il paradosso come nuova forma di alleanza, includere attraverso la comunicazione e, da ultimo ma non per importanza, avvalersi delle possibilità del nuovo contesto che oggi definiremmo post-mediale”. Su tutto “linguaggi comprensibili a tutti”.

A conclusione della due giorni a Catanzaro, don Garbuio ha ricordato ai presenti come “il Vangelo di Gesù elimini ogni separazione tra sacro e profano, rendendo “piena di grazia” qualsiasi realtà. Nella fede nulla è di poco conto e nulla è perduto: denaro, ordine, pulizia, buona amministrazione dei beni, inventario sono parole che entrano di diritto non solo nella Regola di Benedetto, ma anche nel vocabolario di una santità sana e credibile, buona per il monastero di Montecassino così come per ogni spiritualità autentica che deve animare le nostre comunità cristiane”.

Saveria Maria Gigliotti

Ravenna-Cervia / Un “ABC” dell’8xmille diocesano per le famiglie

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Il parroco di origine polacca della parrocchia di San Rocco a Ravenna, don Paolo Szczepaniak (per tutti don Paolino), ha chiesto al referente parrocchiale di realizzare un volantino che porterà personalmente a tutte le famiglie che incontrerà porta a porta durante le benedizioni pasquali (in allegato).

Insieme alla Diocesi è stata creata una sorta di ABC dell’8xmille con i dati del territorio diocesano ed è presente anche un qrcode che riporta un video della Chiesa ti Ascolta sulla distribuzione dei fondi nella Diocesi.

Cremona / A Marzalengo grazie all’8xmille un nuovo spazio per i bambini

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Importante novità all’interno dell’opera segno di Caritas Cremonese che accompagna ragazze e giovani mamme che stanno uscendo da situazioni di dipendenza.

Ormai è solo questione di piccole rifiniture e il nuovo «spazio-bambini» della comunità San Francesco può dirsi pronto. Un vero sogno che si avvera per l’opera segno di Caritas Cremonese che a Marzalengo accompagna 15 tra ragazze e giovani donne che stanno cercando di uscire dal tunnel della dipendenza (da sostanze o alcool). E che, insieme a queste ragazze, accoglie anche i loro bambini, una decina in tutto.

È proprio ai più piccoli che guarda la novità della casa: uno spazio tutto da vivere nella spensieratezza e per il gioco (per i più piccoli che non vanno a scuola è il luogo dove trascorrono gran parte della giornata). Lo si è potuto realizzare grazie ai fondi dell’8xmille stanziati attraverso Caritas Italiana.

Nella comunità di Marzalengo si respira il clima di casa. «Il nostro stile vuole essere quello della famiglia – spiega suor Virginia Verga, coordinatrice della struttura – con relazioni calde, fatte di cura, di accoglienza e di affetto. Le ragazze che arrivano da noi a volte non hanno alle spalle una famiglia e, comunque, durante il percorso non possono avere accanto i propri cari. Quindi il nostro compito è proprio quello di creare questa situazione di famiglia, che è il luogo in cui una persona può essere se stessa, sentirsi accolta, sentirsi importante, valorizzata, … sentirsi unica. Ed è in questo clima di relazione e di benevolenza che c’è il percorso di cura della dipendenza, che paradossalmente è la cosa meno importante, perché l’uso della sostanza non è altro che un modo per cercare di affrontare il dolore che si porta dentro».

Quello portato avanti a Marzalengo è percorso di crescita doppio: da un lato quello della donna che si sta disintossicando, dall’altro quello dei figli che muovono i primi passi. Da qui l’idea di dedicare uno spazio sempre più adatto ai bambini. Così dalla necessità di riadattare alcuni spazi della cascina è nata l’opportunità di trasferire lo spazio dedicato ai bambini in quelli che in passato erano i locali dedicati alla lavorazione del cuoio. «Grazie all’8xmille – spiega l’educatrice Chiara Rossi – abbiamo potuto riadattare questo spazio realizzando in qualche modo un nostro sogno: mettendo questo ambiente al centro della comunità, anche proprio fisicamente. I lavori ormai sono quasi ultimati e nelle prossime settimane potremo iniziare a dargli vita».

Affacciato da un lato sul cortile della casa e dall’altro sul grande giardino verde, potrà essere goduto a pieno dai più piccoli, sfruttando ancor più gli spazi esterni per il gioco e le attività.

Una novità all’apparenza di poco conto, ma che all’interno della comunità San Francesco ha grande importanza e diventa un ulteriore segno di speranza. «Noi guardiamo sempre alle ragazze con occhi di speranza. La speranza c’è sempre, perché c’è sempre una possibilità di ripartire, di rinascere: è importante che nel nostro cuore ci sia sempre questa speranza sulla loro vita».

L’opera segno

La Comunità San Francesco è comunità residenziale e di pronta accoglienza per donne tossicodipendenti, soprattutto con bambini. Trova spazio in una cascina di Marzalengo, piccola realtà di meno di 400 abitanti nel comune di Castelverde, a pochi chilometri da Cremona. Un contesto familiare in cui è possibile sperimentare uno stile relazionale e di vita diverso per giungere a una gestione autonoma e responsabile della propria vita. Accanto a personale laico educativo specializzato, all’interno della struttura vive e opera una comunità delle Suore Adoratrici di Rivolta d’Adda. Una delle «opere segno» della Caritas diocesana: «Perché è il segno – sottolinea suor Virginia Verga – dell’amore del Padre per tutti i suoi figli, anche quelli più lontani, disperati, di cui nessuno si occupa». «Per le ragazze sentire la nostra presenza non giudicante e accogliente – precisa l’educatrice Chiara Rossi – fa vincere la paura di sentirsi inadeguate. Mamme non si nasce: certo si dà vita a un bambino, ma tante cose sono da imparare. Allora può essere importante vivere anche un po’ l’esperienza dell’essere figlie nel cammino di maternità».

Fonte: TeleRadio Cremona Cittanova

Chiesa cattolica / “Shine to Share”, un contest per 100 futuri content creator

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Un progetto per diventare content creator della Chiesa cattolica: ecco “Shine to share”. I giovani, tra i 18 e i 35 anni, potranno così imparare a realizzare contenuti video per i social network e lanciare un messaggio di speranza e di fede nel mondo digitale. L’iniziativa è promossa dalla Chiesa cattolica, attraverso il Servizio Nazionale per la Pastorale Giovanile e il Servizio per la promozione del sostegno economico della CEI, con la direzione didattica dell’Università Cattolica.

Per partecipare basta raccontare con un video un evento o un’esperienza significativa vissuta in oratorio, in parrocchia, con gli scout o in un’associazione cattolica, che testimoni la propria esperienza di fede, di vita di comunità cristiana e lo spirito di servizio che la anima. Il video, della durata di 40/60 secondi, deve essere caricato sul sito www.shinetoshare.chiesacattolica.it a partire dal 17 marzo e fino al 6 aprile. Tra le caratteristiche che deve presentare, la coerenza e profondità del messaggio, la qualità e chiarezza espositiva, la creatività e capacità di raccontare storie originali e coinvolgenti. Entro il 27 aprile 2025 una giuria di qualità, composta da esperti del mondo della comunicazione, selezionerà 100 video finalisti e i loro giovani autori saranno invitati a partecipare a un corso online di 36 ore per diventare Content creator, con focus sullo storytelling, il marketing digitale, il video editing e l’uso dell’Intelligenza Artificiale. Il corso organizzato dall’Università Cattolica di Milano sarà totalmente gratuito.

“Il bene va raccontato, bene”, dichiara don Riccardo Pincerato responsabile della Pastorale Giovanile, “e #ShinetoShare è la possibilità per avere strumenti e occhi per raccontare il bello e il bene della Chiesa attraverso gli occhi e la voce dei giovani che ci possono sorprendere con le loro visioni e le loro narrazioni”. “Gesù si è identificato talmente tanto con noi che ci chiama con il suo nome, ci chiama luce” – “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14), ricorda Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio CEI per la promozione del sostegno economico alla Chiesa “#ShinetoShare ci ribadisce che non solo abbiamo questa luce ma siamo chiamati a diffonderla anche nei social a chi non conosce ancora la gioia della vita nuova in Gesù”.

Al termine del corso online di 36 ore, dal 23 al 26 giugno 2025, i cento giovani selezionati parteciperanno a un workshop in presenza di 4 giorni presso il Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi Religiosi a Seveso. Avranno così la possibilità di apprendere regole e strumenti per una comunicazione social in linea con i valori e la missione della Chiesa cattolica. Tutti i costi (laboratorio, vitto, alloggio e viaggio) saranno a carico della CEI. Inoltre, il 30 e 31 luglio i cento giovani si trasferiranno a Roma per partecipare ad alcuni eventi durante il Giubileo dei giovani. Per l’occasione, potranno mettere in pratica quello che hanno appreso realizzando contenuti coinvolgenti, in video reel, per raccontare l’esperienza e le emozioni vissute durante il Giubileo. I video verranno condivisi sui propri account social e caricati sulla piattaforma dedicata dal 1° agosto 2025 al 31 agosto 2025, utilizzando l’hashtag #ShinetoShare. Entro il 30 settembre 2025 una giuria composta da esperti di comunicazione della CEI selezionerà i 20 giovani (uno per ogni Regione d’Italia) che avranno realizzato i video più creativi, di qualità e in linea con i valori della Chiesa cattolica e proporrà loro di diventare Ambassador per realizzare e pubblicare contenuti sui profili social della CEI (Instragram, Facebook, X, TikTok). “Non si tratta semplicemente di un evento mediatico o promozionale, ma di un vero e proprio itinerario pastorale, durante il quale i ragazzi saranno formati, guidati e chiamati a testimoniare la propria fede, cultura e identità cristiana nello spazio digitale”, spiegano i promotori.

Regolamento in allegato.

(Filippo Passantino per il Sir)

Uniti nel Dono / Crema, l’oratorio di Offanengo, casa di tutti e per tutti

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Alle porte di Crema, l’oratorio San Giovanni Bosco di Offanengo è un luogo di accoglienza e vitalità, divenuto punto di riferimento per giovani e adulti della comunità locale. Situato di fronte alle scuole elementari e medie, a due passi dalla parrocchia di Santa Maria Purificata, l’oratorio, aperto tutti i pomeriggi e le sere, si distingue per la varietà delle sue proposte, grazie anche alla guida del giovane vicario parrocchiale, don Nicholas Sangiovanni.

“La mia vocazione la devo anche ad un parroco meraviglioso, don Elio Ferri – racconta don Nicholas Sangiovanni su unitineldono.it – che ho conosciuto quando avevo 9 anni e che è scomparso sei anni fa per una malattia fulminante: un prete che ha lasciato un ricordo indelebile con il suo esempio e la sua dedizione”. Una traccia che si è consolidata nella missione sacerdotale del don, uno dei più giovani tra i 71 sacerdoti della diocesi, e che si traduce nella fucina di attività dell’oratorio, frequentato ogni giorno da numerosi bambini e ragazzi.

Classe 1990, originario di Scannabue (Cr), don Nicholas, ordinato nel 2017, ha assunto il suo incarico a Offanengo nel 2020, in piena emergenza pandemica. Nonostante le difficoltà di quel periodo, è riuscito rapidamente a conquistare la fiducia delle famiglie e dei ragazzi.

Il giovane don ha riaperto l’oratorio dopo il lockdown, con impegno e dedizione, rendendolo di nuovo un luogo di aggregazione con il coinvolgimento dei volontari, molti dei quali pensionati, che mettono a disposizione il loro tempo per supportare le attività. Tra le iniziative più significative figura un doposcuola rivolto a 40 bambini, dalla seconda alla quinta elementare, il 90% dei quali di origine straniera.

Ai ragazzi viene dedicata tutti gli anni la “Settimana dell’Oratorio”, che si svolge il 31 gennaio in occasione della tradizionale festa di san Giovanni Bosco. Aperta anche ai giovani delle altre due parrocchie di Bottaiano e Ricengo, che compongono l’unità pastorale “Emmaus”, una delle 17 in cui è suddivisa la diocesi, è un’iniziativa che coinvolge l’intera comunità. “I protagonisti sono soprattutto una ventina di liceali e universitari che si trasferiscono per una settimana in parrocchia per studiare tutti insieme nel pomeriggio e per ‘fare casa’ – spiega don Nicholas -. I volontari accolgono a colazione, dalle 7 alle 9, circa 100 famiglie che tutte le mattine si fermano per prendere un caffè e pregare qualche minuto nella bella cappella al primo piano dell’edificio”.

Lo sguardo verso il futuro si concentra ora su nuove sfide, come l’educativa di strada. “Anche in un piccolo centro come Offanengo si riscontrano situazioni di disagio giovanile – conclude don Nicholas – con ragazzi che talvolta faticano a rispettare le regole sia in oratorio che al di fuori, compiono atti di vandalismo e assumono alcol e droghe. Da oltre un anno collaboriamo con il Comune, le forze dell’ordine e educatori professionisti, che, attraverso uscite settimanali sul territorio, si impegnano a raggiungere questi gruppi, cercando di costruire una relazione di fiducia, fondata principalmente sul dialogo e sull’ascolto, per aiutarli a riflettere e a sviluppare una maggiore consapevolezza e responsabilità”.

Sul territorio sono tanti i sacerdoti impegnati in prima linea. Lo spiega la nuova campagna istituzionale della CEI dal claim “Chiesa cattolica italiana. Nelle nostre vite, ogni giorno”.

Nell’Italia di oggi, se non ci fosse la Chiesa con la sua rete solidale e il lavoro straordinario svolto da migliaia di volontari, ci sarebbe un vuoto enorme. Con la campagna – spiega il responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni – vogliamo raccontare il valore tangibile di questa presenza nella vita di tante persone, cattoliche e non”.

Scadenze per la consegna del modelli fiscali 730 e Redditi (anche precompilati)

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Modelli

 

Termini

Modelli 730 inviati dai CAF/intermediari

 

dal 30 aprile al 30 settembre

 

 

Modelli Redditi inviati dai CAF/intermediari

 

dal 30 aprile al 31 ottobre
 

Modelli Redditi cartacei inviati dai contribuenti

 

Dal 30 aprile al 30 giugno
Modelli 730 precompilati e modello Redditi precompilato inviati direttamente via web dal contribuente

 

 

I termini di inizio sono stabiliti dall’Agenzia

 

il termine finale è:

 

30 settembre per il 730

31 ottobre per il modello Redditi

 

Giornate di formazione e spiritualità / Comunione, solidarietà e speranza nella Chiesa e nella società. Intervista a padre Franco Annichiarico sj

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Dal 20 al 23 febbraio 85 incaricati e collaboratori diocesani del Sovvenire, provenienti da diverse regioni d’Italia, hanno preso parte, insieme a Massimo Monzio Compagnoni, responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica e ai membri dell’Ufficio nazionale (qui una sua dichiarazione al Sir), Letizia Franchellucci e don Enrico Garbuio, alla prima edizione delle Giornate nazionali di formazione e spiritualità promosse dal Servizio Promozione della CEI.

L’incontro, ospitato nel monastero San Giuseppe di Assisi, ha avuto come filo conduttore il tema “Collaboratori della vostra gioia” (2Cor 1,24). Comunione e condivisione nel Nuovo Testamento per ripensare l’oggi. La guida spirituale è stata curata dal gesuita padre Franco Annicchiarico intervistato da Simone Incicco, incaricato e direttore del settimanale diocesano di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, L’Ancora.

Padre Franco, come è nata la sua vocazione?
La mia vocazione è nata in modo semplice, attraverso l’esperienza in parrocchia e poi nel Centro giovanile dei Gesuiti a Grottaglie, mio paese d’origine, in provincia di Taranto. Incontrando i Gesuiti, ho sentito un’attrazione profonda per il loro stile di vita, per la loro testimonianza. In particolare, mi ha colpito la loro capacità di annunciare la Parola e di ascoltare le persone. La predicazione e l’accompagnamento spirituale sono due pilastri della vita gesuita, soprattutto attraverso gli esercizi spirituali. In questo ho trovato una sintonia con ciò che sentivo dentro di me.

Nel suo libro autobiografico Spera, papa Francesco sottolinea il valore della vita comunitaria dei Gesuiti. Come possiamo trasformare la solitudine, la solitarietà, che affligge a volte le comunità, in solidarietà?
La vita religiosa ha una dimensione comunitaria che, purtroppo, a volte può venire meno anche tra i Gesuiti. Credo che la sfida sia riscoprire che la vita cristiana, in tutte le sue forme – laicale, presbiterale o religiosa – è sempre una vita in fraternità. Anche un eremita cristiano, pur nella solitudine, prega per il mondo e si sente parte della comunità. Seguire Cristo significa essere in relazione, ricevere in dono fratelli e sorelle con cui camminare. Questo ci aiuta a superare l’individualismo e a vivere nella condivisione. I beni – materiali e spirituali – non sono mai solo per noi stessi, ma devono diventare dono per gli altri. Lo vediamo anche negli Atti degli Apostoli: “Nessuno tra loro era bisognoso” (At 4,34). Questo è il cuore della solidarietà cristiana.

Durante le giornate ad Assisi ha parlato dell’“arte di vivere”. Come possiamo impararla?
Innanzitutto, riscoprendo la bellezza della vita umana e cristiana. L’arte di vivere nasce da uno sguardo capace di cogliere la bellezza nel quotidiano, come faceva Gesù. Egli si meravigliava dei gigli del campo, osservava sua madre impastare il pane e trasformava queste immagini in parabole sul Regno dei Cieli. Imparare quest’arte significa vivere con consapevolezza e gratitudine, guardando le cose con gli occhi di Dio. È necessario uscire dalla frenesia quotidiana, ritagliarsi uno spazio per il silenzio e il riposo. Il comandamento del sabato ci ricorda l’importanza di fermarsi per ritrovare noi stessi e la nostra relazione con Dio.

Come essere portatori di speranza in un mondo che ne sembra privo?
La speranza cristiana è reale, fondata su Cristo e le sue promesse. Abramo sperò contro ogni speranza perché si affidò a Dio. Anche noi oggi viviamo tempi difficili, dove tutto sembra alimentare la paura e lo scoraggiamento. Eppure, la nostra speranza è Cristo, il Risorto, colui che ha vinto la morte. Ricordo una frase del patriarca Pizzaballa: “Guardando la realtà, non vedo speranza. Ma la mia speranza è Cristo”. Questa è la nostra certezza. Non possiamo farci illusioni sulle situazioni del mondo, ma possiamo continuare a sperare perché sappiamo in chi abbiamo riposto la nostra fiducia.

Uno degli aspetti del Giubileo della Speranza è la restituzione: beni, debiti, giustizia. Come possiamo tornare ad annunciarla con forza?
Testimoniandola. Se vogliamo che il mondo ascolti il nostro messaggio, dobbiamo viverlo prima di tutto nelle nostre comunità. Se la Chiesa e i cristiani praticano una reale condivisione dei beni, allora diventano credibili nel chiedere ai governanti di fare altrettanto. Ci sono già realtà che incarnano questo spirito: comunità di famiglie che scelgono di condividere i beni, come Villa Pizzone a Milano, la comunità di Balicanti a Canelli o la comunità Maranatà a Bologna. In questi contesti, anche gli stipendi vengono messi in comune e ogni famiglia attinge in base alle necessità. Non è un modello per tutti, ma un segno che vivere diversamente è possibile.

Papa Francesco ha definito il denaro “lo sterco del diavolo”, riprendendo un’espressione della tradizione cristiana. Nel Vangelo, però, i beni materiali sono visti anche come dono di Dio, da amministrare con responsabilità. Come possono gli incaricati e i collaboratori diocesani del Sovvenire promuovere un uso evangelico delle risorse economiche, a sostegno della missione della Chiesa?
Nella Bibbia, i beni sono un dono di Dio, destinati alla vita dell’uomo. Diventano “sterco del diavolo” quando separano invece di unire, quando alimentano l’egoismo anziché la comunione. Il problema non è il denaro in sé, ma l’uso che ne facciamo: se lo trasformiamo in uno strumento di divisione, se lo mettiamo al centro anziché al servizio del bene comune. Ecco perché il servizio del Sovvenire è fondamentale: non è solo una questione amministrativa, ma una chiamata evangelica. Ricorda a ogni cristiano che la gestione dei beni e del denaro è parte integrante della sua fede. E questo può disturbare, perché tocca un aspetto molto concreto della vita. Gli incaricati e i collaboratori diocesani hanno quindi un ruolo chiave: devono aiutare le comunità parrocchiali a riscoprire il valore della condivisione e della responsabilità, educando a un’economia della fraternità. Non si tratta semplicemente di promuovere una firma o un’offerta, ma di favorire una conversione del cuore.

Un esercizio spirituale che tutti dovremmo fare è chiederci: “Signore, come vuoi che io utilizzi i beni che mi hai donato?” Anche nella morte possiamo testimoniare il Vangelo, destinando ciò che abbiamo non solo ai familiari, ma anche a chi è nel bisogno. Perché ciò che possediamo non ci appartiene veramente: è un dono da restituire, con gratitudine e giustizia.

La Chiesa è spesso vista solo attraverso gli scandali, mentre si racconta poco della “foresta che cresce” nel silenzio. Come uscire da questa dinamica?
Dobbiamo raccontare storie di vite trasformate dal Vangelo, testimoni credibili che mostrino la bellezza dell’umano realizzato in Dio. Non basta fare opere di carità: dobbiamo saper narrare il senso profondo di ciò che facciamo. Il rischio è altrimenti che la Chiesa venga percepita solo come un dispensatore di servizi, quando invece è molto di più: è una famiglia che genera vita.

Un ultimo pensiero?
Sono profondamente grato per questi giorni trascorsi insieme agli incaricati e collaboratori diocesani del Sovvenire. Ho visto persone vive, che servono la Chiesa con passione e si lasciano toccare dalla Parola di Dio. Questa esperienza ci ha ricordato che prima di ogni organizzazione e strategia, c’è il bisogno di mettersi in ascolto di Dio. Solo così possiamo essere autentici testimoni di speranza.

La formazione degli incaricati e dei collaboratori diocesani si è conclusa domenica 23 febbraio con la Messa delle 11.30 nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, presieduta dall’Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, mons. Ivan Maffeis.

Prossimi appuntamenti
Le prossime Giornate nazionali di formazione e spiritualità si terranno dal 17 al 20 marzo nel Centro di spiritualità Maria Candida di Armeno (Novara) e dal 24 al 27 aprile nell’Oasi Santi Martiri Idruntini di Santa Cesarea Terme (Otranto).